Home

Colloqui Individuali

Colloqui di Coppia

Counseling di Gruppo

Mediazione Familiare

Gallery

Articoli

Attività

Contatti

Intervista

A.S.P.I.C



ASSOCIAZIONE PER LO SVILUPPO PSICOLOGICO

DELL’INDIVIDUO E DELLA COMUNITA’


Scuola Superiore Europea di Counseling Professionale


MASTER DI MEDIAZIONE FAMILIARE


Mediazione Familiare”




Allievo Supervisore

Luciana Baldin Marco Andreoli

SOMMARIO


1 - Un po’ di storia e cos’è la mediazione familiarE………………………….3

2 – CHE COS E’ LA FAMIGLIA…………………………………………………………………......13

3 – TIROCINIO…………………………………………………………………………………………..19

caso positivo

caso negativo

caso in essere


4 – COUNSELOR E MEDIATRICE FAMILIARE……………………………………………...47

5 – CONCLUSIONE…………………………………………………………………………………….51

6 – RINGRAZIAMENTI………………………………………………………………………………54



  1. Un po’ di storia e cos’è la mediazione familiare


Immagino che la mediazione familiare in qualche modo sia sempre esistita, non si sapeva che fosse mediazione, non se ne parlava. Avveniva in modo spontaneo, ci si rivolgeva all’anziano della famiglia, al medico e al prete della comunità.

Le persone, tanto tempo fa, non erano in grado di tenere dentro di se dolori, sofferenze, conflitti, dubbi senza il bisogno di parlarne con qualcuno e soprattutto avevano la possibilità di farlo! L’istituzione della mediazione familiare ha incominciato ad emergere proprio per sopperire alla mancanza di quella modalità semplice e spontanea. L’individualismo e la chiusura interiore verso l’altro hanno portato solitudine, divisione e sempre più conflitti interiori. Si è persa l’abitudine di raccontare cosa ci succede e come conseguenza la comunicazione è venuta a mancare fino al punto di essere incapaci di farlo.

Ecco l’esigenza sociale di una persona ben definita che possa essere in grado di comprendere ed aiutare ad affrontare l’incapacità di comunicare e cioè il mediatore familiare.

Si inizia a parlare, infatti, di mediazione nel quinto secolo a.C., quando in Cina Confucio, avvertendo degli esiti potenzialmente negativi del processo che avrebbe potuto lasciare i contendenti insoddisfatti e incapaci di cooperare, invita il popolo a rivolgersi ad un terzo neutrale che avrebbe facilitato il raggiungimento di un accordo.

Si sa anche, dagli scritti di Gulliver e di Roberts degli anni settanta, che in certe regioni africane è molto remota la tradizione di chiedere ad un consiglio di anziani di intervenire e risolvere le controversie tra villaggi o tra famiglie del villaggio.

Nel 1923 Grinnel descrive, tra i doveri dei capo Cheyenne, quello di pacificare e intervenire per risolvere qualsiasi lite fosse sorta nel campo

Il primo centro di mediazione familiare nasce nel 1974 ad Atlanta per opera dello psicologo e avvocato statunitense James Coogler. Nel 1975, sempre ad opera di Coogler, nasce la Family Mediation Association che offre un servizio di mediazione alle coppie in via di separazione o divorzio.

La mediazione familiare è un intervento professionale rivolto alle coppie e finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di separazione e/o di divorzio. Obiettivo centrale della mediazione familiare è il raggiungimento della co-genitorialità (o bi-genitorialità) ovvero la salvaguardia della responsabilità genitoriale individuale nei confronti dei figli, in special modo se minori.

La mediazione familiare è una disciplina trasversale che utilizza conoscenze proprie alla sociologia, alla psicologia e alla giurisprudenza finalizzate all'utilizzo di tecniche specifiche quali quelle di mediazione e di negoziazione del conflitto.

Requisito indispensabile per intraprendere un percorso di mediazione familiare è l'assenza di conflitto giudiziale in corso. La mediazione familiare è infatti finalizzata al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla coppia al di fuori del sistema giudiziario. Si ricorre a quest'ultimo (separazione e/o divorzio consensuale) solo per le omologhe di Legge degli accordi raggiunti. Tale tipologia di mediazione che affianca gli aspetti emotivi a quelli più strettamente legali è spesso definita anche mediazione globale.

In Italia

Parallelamente alle prime esperienze francesi nel 1987 si costituisce a Milano l'associazione GeA (Genitori Ancora) con l'intento di divulgare la pratica della mediazione familiare.

Nonostante la sostanziale indifferenza sia del legislatore che degli organi giudicanti, nascono un po' in tutta Italia centri sperimentali di mediazione familiare cui fanno seguito le prime scuole per formare i futuri mediatori familiari.

Successivamente nascono alcune associazioni con l'intento sia di raggruppare i vari mediatori familiari sul territorio sia di diffondere la cultura della mediazione stessa. L'obiettivo è inoltre quello di definire, in assenza di una regolamentazione statale, alcuni criteri quali quelli formativi e deontologici.

In Emilia Romagna

La Regione Emilia Romagna è l'unica in Italia nella quale il servizio pubblico di mediazione familiare è diffuso in modo capillare ed omogeneo su tutto il territorio regionale, accogliendo circa 1000 richieste all'anno. L'intervento, attivato nel 1994 inizialmente solo nelle città capoluogo, è completamente gratuito ed è collocato presso i Centri per le Famiglie (attualmente 32 in tutta la Regione). A partire dal 2002 l'attività di mediazione familiare in Regione è supportata e coordinata da un servizio appositamente istituito.

Attualmente in Italia la mediazione familiare non è una professione regolamentata, non esiste cioè un organo istituzionale vigilante (come un Albo o un Ordine professionale) né dei requisiti minimi definiti dallo Stato per poterla esercitare. Solitamente viene praticata da figure professionali già strutturate - quali avvocati, psicologi, assistenti sociali.

Dal 2013 uscì la legge 4/2013 che costituisce la normativa di riferimento in materia di ‘professioni non organizzate in ordini o collegi’, o anche ‘professioni associative’. Tale seconda denominazione discende dalla regolamentazione della stessa L. 4/2013 che prevede la possibilità di formare associazioni di natura privatistica per le professioni senza albo.

Le associazioni non hanno vincolo di rappresentanza esclusiva della professione in questione, lasciando così sussistere la possibilità che ne esistano varie per la medesima figura.

La legge 4/2013 contiene la regolamentazione delle professioni non riconosciute, cioè quelle senza albo e non ordinistiche. Sebbene le associazioni di professioni non regolamentate forniscano garanzie peculiari, è possibile esercitare le attività della figura anche in autoregolamentazione se in conformità con la normativa tecnica UNI (direttiva 98/34/CE).

UN, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, è un’associazione privata senza scopo di lucro riconosciuta dallo Stato e dall’Unione Eurasi Elabora e pubblica norme tecniche volontarie appunto le norme UNI in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario

I compiti principali dell'UNI sono

  • elaborare nuove norme in collaborazione con tutte le parti interessate;

  • rappresentare l'Italia nelle attività di normazione a livello mondiale (ISO) ed europeo (CEN) allo scopo di promuovere l'armonizzazione delle norme, recepire norme EN o EN ISO occupandosi eventualmente della traduzione;

  • pubblicare e diffondere le norme tecniche ed i prodotti editoriali ad esse correlati.

La commissione tecnica Attività Professionali non regolamentate ha pubblicato la norma nazionale UNI 11644 in relazione alla figura del mediatore familiare.

La norma si prefigge lo scopo di definire in modo adeguato ed univoco i riferimenti della figura professionale di mediatore familiare, stabilendone altresì una omogeneizzazione dei programmi di formazione promossi da enti pubblici e/o privati, al fine di garantire un livello qualitativo di formazione e garanzia dell'utenza nell'incontrare mediatori dotati di adeguata professionalità e dei professionisti stessi

Recentemente la Legge nº 54 dell'8 febbraio 2006 modificando l'articolo 155 del Codice civile ha introdotto alcuni importanti aspetti legali per la mediazione familiare con l'introduzione dell'affido condiviso. Tale Legge, la prima in Italia sull'argomento, è frutto dell'opera di mediazione del Prof. Marino Maglietta, presidente dell'associazione "Crescere Insieme", che dal 1993 si occupa da un punto di vista giuridico delle tematiche legate alla mediazione familiare e all'affido condiviso.

Benché la figura professionale del mediatore familiare non sia regolamentata, esistono alcuni corsi di formazione riconosciuti da Regioni ed erogati da agenzie formative accreditate, che rilasciano un attestato di qualifica professionale di "Esperto Mediatore Familiare".

Alcune Regioni italiane, attraverso lo strumento della Legge regionale, hanno istituito al proprio interno (generalmente presso l'Assessorato di riferimento, ovvero quello alla Politiche Sociali) alcuni elenchi di professionisti in possesso di particolari caratteristiche.

Tali elenchi sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 131/2010, in quanto "in contrasto con il principio fondamentale in materia di regolamento delle professioni, in base al quale spetta esclusivamente allo Stato l'individuazione delle figure professionali con i e relativi profili e titoli abilitanti”.

Tali elenchi sono tuttavia da non confondere con Albi o Ordini Professionali, che presentano criteri diversi e più rigorosi per l'accesso, in quanto la Mediazione Familiare rimane, appunto, una professione non regolamentata.

Secondo l’ autorevole opinione del costituzionalista Costantino Mortati il principio democratico sancito dalla Costituzione ben si adatta alla mediazione familiare perché essa mira a ripristinare la democraticità in seno alla famiglia, a tutelare ogni persona della famiglia stessa ed in particolare i soggetti più deboli.

Secondo il dettato costituzionale il ricorso all’ intervento mediativo deve essere frutto di una scelta consapevole di una famiglia in crisi; il mediatore aiuterà a recuperare la propria progettualità attraverso la consapevolezza del proprio potere di intervento sulla realtà circostante sia pure nella metamorfosi generata dalla crisi.

Che la mediazione sia a sostegno della genitorialità è sottolineato anche dall’ art. 30 della Cost.(I e II co. “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli. Nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”) quando parla di funzione educativa, intesa anche come servizio di educazione dei genitori,

Infine il giurista si avvale dell’ art. 32 della Cost.(“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”) per considerare la mediazione come mezzo di tutela della salute perché aiuta a prevenire o attenuare alcune patologie di cui possono soffrire i minori proprio a seguito della separazione dei genitori.

La coppia che si separa può essere paragonata ad un puzzle dal quale se ne possono ricavare due altrettanto finiti anche se in questo momento i clienti vedono solo delle tessere mischiate. Quando può essere utile la mediazione familiare?

La mediazione familiare può essere utile:

  • in tutti quei casi dove i coniugi non riescono più a comunicare in modo efficace o a sostenere un dialogo. Spesso le discussioni sono troppo cariche di emozioni e sentimenti di accusa e avvengono in modo veloce e furibondo. In questo modo diventa impossibile metterli d’accordo anche per le questioni più semplici, per esempio a chi andrà il vaso regalato dalla zia;

  • quando la coppia non riesce a raggiungere un’intesa sulla separazione dei beni o sull’importo dell’assegno di mantenimento;

  • quando non si riesce proprio a mettersi d’accordo tra ex-partner sull’organizzazione della vita quotidiana dei figli, la scuola, il tempo libero, le spese ordinarie e straordinarie;

  • quando la coppia è immersa in un percorso giudiziario interminabile che la sta sfiancando moralmente ed economicamente;

  • quando uno dei due o entrambi stanno formando una nuova famiglia e non trovano la modalità più indolore per comunicarlo ai figli.

La mediazione familiare può non funzionare:

  • se uno dei due è soggetto a forme di dipendenza (droghe, alcool, gioco d’azzardo) che precludono la negoziazione di un accordo equo;

  • quando non si è ancora del tutto rinunciato alla possibilità di tornare insieme;

  • se ci sono ancora in corso dei procedimenti giudiziali (denunce, querele, ecc…);

  • se uno dei due assume un comportamento violento che va oltre i normali litigi.

Quali sono le fasi della mediazione familiare?

Le fasi della mediazione familiare si articolano in questo modo:

  • se i componenti la coppia hanno già maturato la decisione di separarsi, possono, in modo volontario, scegliere il mediatore familiare tramite i siti internet delle principali associazioni nazionali. Le più rappresentative sono iscritte in un apposito elenco depositato presso il Ministero dello Sviluppo Economico e sono A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), A.I.M.S. (Associazione Internazionale Mediatori Sistemici) e S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari);

  • il mediatore incontrerà la coppia, la mediazione familiare non può funzionare con uno solo. La prima volta chiederà alcune informazioni utili, anagrafiche e logistiche sulla vita della coppia. Per esempio se vivono ancora assieme, se i loro figli abitano con loro e la loro situazione economica e lavorativa;

  • la coppia espone quali sono le questioni su cui vuole raggiungere gli accordi. Potranno essere trattati aspetti economici (come discutere l’importo dell’assegno di mantenimento) e logistici (per esempio sulla gestione e i turni di cura dei figli). Gli argomenti scelti da entrambi verranno inseriti nel contratto di adesione al percorso della mediazione familiare;

  • il mediatore familiare guiderà entrambi nell’elaborare le modalità per risolvere i problemi sollevati, non decidendo lui per loro, ma incoraggiandoli a trovare delle soluzioni, grazie a strumenti di comunicazione e negoziazione;

  • la svolta, di solito, avviene quando, superata la rabbia che non li fa schiodare dalle rispettive posizioni, entrambi si concentreranno sulle possibilità che saranno più vantaggiose per il “sistema famiglia”;

  • infine si procederà alla stesura dell’accordo redatto dal mediatore familiare contenente dettagliatamente le opzioni concordate (l’importo dell’assegno di mantenimento, i turni di visita, i weekend coi figli, le vacanze natalizie, ecc…). La revisione di esso avverrà presso i rispettivi avvocati e sarà poi depositato al giudice che, non riscontrando irregolarità, lo convaliderà. Questo significa che avrà a tutti gli effetti valenza giuridica.

Quali sono i vantaggi per chi decide di avvalersi della mediazione familiare?

Chi decide di portare a termine la mediazione familiare, in genere dopo 10-12 incontri, probabilmente avrà raggiunto gli accordi di separazione o divorzio su cui non riusciva in modo autonomo a trovare dei punti d’incontro con l’ex partner e questo è sicuramente il beneficio principale. Inoltre spesso i due componenti la coppia riprendono finalmente a comunicare in modo sano ed equilibrato, cosa che permetterà loro nel futuro di prendere le decisioni in modo comune su tutto quello che riguarda la vita di eventuali figli. Il tutto condito anche da un risparmio economico, in quanto il percorso della mediazione familiare costa molto meno rispetto a quello giudiziario. Ma soprattutto i membri della coppia in separazione si garantiscono così un ruolo di protagonisti attivi nel processo di separazione, senza subire passivamente le decisioni prese da un’autorità superiore come quella giudiziaria.


  1. CHE COS’E’ LA FAMIGLIA

E’ pensiero ricorrente affermare che l’unica famiglia è quella con mamma e papà; diventa quindi fondamentale comprendere che cos’è la famiglia per gli italiani. Nel 1948 la Costituzione riconosceva la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art 29). La definizione, tuttora presente nella Costituzione nasconde una contraddizione formale: definisce la famiglia come società naturale e poi ne appoggia il suo fondamento ad un’istituzione giuridica, come il matrimonio e non ad un processo naturale.

Questa contraddizione, riconosciuta da molti giuristi, ci è utile per comprendere quanto fosse difficile già nel 1948, fornire una definizione univoca e chiara di famiglia.

Ancora di più oggi non esiste una definizione di famiglia universalmente riconosciuta: giuridicamente, esiste un “modello” di famiglia che è quello della famiglia prima delle grandi riforme sociali, prima della legge sul divorzio (padre madre, uniti in matrimonio e i figli da loro generati) e poi esistono molti “casi particolari” ed “eccezioni” che vengono giuridicamente e socialmente assimilati nel funzionamento alla famiglia ma non sono pienamente riconosciuti come famiglie.

Ma come intendiamo la famiglia, noi italiani? Che tipo di rappresentazione ne abbiamo? Esiste ancora in ognuno di noi l’idea di una famiglia “con mamma e papà” e di una serie di eccezioni, di modelli divergenti, di “semi-famiglie” o consideriamo che esistano diversi modi di fare famiglia a cui diamo pari dignità e valore? Ha ancora senso parlare di famiglia: esiste ancora qualcosa di peculiare che contraddistingue questo concetto nella mente delle persone?

Al fine di comprendere in modo più chiaro come si organizza oggi il concetto di famiglia nella mente degli italiani, il Centro Studi Famiglia ha organizzato una ricerca intervistando diverse decine di persone e chiedendo loro di fornire una definizione di famiglia. L’analisi delle risposte ha confermato l’ipotesi: ognuno di noi ha una rappresentazione dell’organizzazione della famiglia estremamente diversa.

Alcuni considerano che esista una famiglia solo laddove sono presenti dei figli, altri danno valore di famiglia anche alla relazione di coppia. Alcuni pensano che per parlare di famiglia sia necessaria la convivenza tra un uomo e una donna, altri no. Alcuni considerano la famiglia allargata, la dinastia e altri includono nella famiglia gli animali domestici o addirittura le piante.

Quindi, possiamo tranquillamente affermare che nella mente degli Italiani, la famiglia naturale, quella con mamma e papà non è più il modello prevalente: esistono moltissimi e diversissimi modi di intendere la famiglia, tutti con pari dignità.

Ciò che è apparso in modo chiaro ed inaspettato dall’analisi delle interviste è, invece, la presenza di un grandissimo consenso rispetto alle funzioni della famiglia, alla sua rappresentazione affettiva. Tutti gli intervistati descrivono la famiglia come un luogo positivo, fondamentale per gli affetti che lì si sviluppano, per l’intensità delle relazioni presenti, per i legami profondi e per la sua funzione di protezione reciproca.

Alcuni esempi di verbalizzazioni possono aiutare a capire cosa intendo: “La famiglia è un luogo in cui ci si sente protetti, è casa, è il posto dove puoi trovare il calore di un abbraccio, un posto dove le persone si vogliono bene, anche se a volte litigano E’ il luogo dell’amore incondizionato nei confronti di persone che hai scelto. E’ la forza del gruppo che ti permette di andare avanti e superare le difficoltà”.

Quindi, se nella mente delle persone l’organizzazione concreta della famiglia si declina in modo molto diverso a seconda dei modelli culturali e religiosi, la funzione affettiva della famiglia sembra essere riconosciuta in modo simile, universalmente. Tutti pensiamo che la famiglia ci protegga, ci accolga e sia il luogo in cui si sviluppano legami fondamentali per la nostra vita. La famiglia, in sostanza, non è necessariamente formata da un padre e una madre ma resta comunque il luogo della protezione, dove si formano legami profondi e continuativi.

Come ha teorizzato Bowlby nel 1969, legame e protezione sono le caratteristiche più importanti della funzione di attaccamento: ogni mammifero, per predisposizione biologica tende, fin dai primi mesi, a stabilire dei legami rassicuranti con chi si prende cura di lui e a ricercare in questa figura, protezione.

Dal punto di vista etologico, questi legami favoriscono la sopravvivenza della specie in quanto permettono a noi mammiferi di essere protetti e di apprendere da chi ci sta vicino, il nostro stile relazionale e sociale, il nostro modo di stare insieme. Sembra quindi che la famiglia mantenga ancora oggi questo ruolo importantissimo per l’uomo. E’ il luogo privilegiato del legame di attaccamento, sia per i bambini che per gli adulti.

Alla luce di queste osservazioni l’idea che un simile legame possa svilupparsi soltanto all’interno di un nucleo creato da un uomo e da una donna appare, sinceramente, bizzarra. Basta rievocare gli esperimenti di Konrad Lorenz sull’imprinting, quando lui stesso si trovava a venire riconosciuto come oggetto di attaccamento dai piccoli di anatra dopo essersi preso cura di loro alla nascita. Per comprendere che ciò che qualifica la famiglia non è la rappresentazione iconica del padre e della madre ma la cura reciproca e il naturale legame di attaccamento.

Quindi, qualora ci trovassimo costretti a giudicare se una coppia o un gruppo di individui possa o meno essere definito “famiglia”, non possiamo più in alcun modo riferirci alla sua organizzazione, al sesso dei suoi membri o al modo in cui si è stabilito il vincolo. Possiamo forse meglio rispondere al quesito valutando se sono presenti dei legami di protezione e di cura reciproca, ovvero cercando di capire se i membri di quella coppia, di quel gruppo di persone si proteggono reciprocamente e, nella sostanza, si vogliono bene.

Il legame che si crea dalla famiglia va ben oltre a quella del padre e della madre : Esistono i nonni , gli zii, le zie, i cugini, le cugine , le moglie e mariti degli zii e i parenti lontani. Possiamo parlare di famiglia allargata? E’ sempre esistita la famiglia allargata e potrei dire che nessuno ha mai avuto modo di sentirsi solo. I figli sono figli di tutti e non vi erano confini

Il concetto di famiglia, in fondo, non è altro che questo: la sicurezza che a qualunque ora tornerai a casa, ti aspetteranno per cena. E questa sicurezza non ha legami di sangue, non ha genere.

Quanto prima capiamo che dobbiamo rendere fluido, espandibile, il concetto di famiglia, tanto prima costruiremo un muro di relazioni che potrà essere l'unica difesa contro la bestia più feroce della contemporaneità,”il mostro della solitudine”, che, tra l'altro, ci rende deboli politicamente, sconnessi socialmente, emotivamente malati.

In un mondo così, chi ha il coraggio di non accettare la potenza di una verità così semplice, e cioè che tutti possono essere famiglia?

La famiglia provvede a svariate funzioni sociali:

  • Funzione emotiva -affettiva.

  • Funzione assistenziale, di cura e di sostegno nelle avversità fisiche e psicologiche.

  • Funzione educativa.

  • Funzione riproduttiva. ...

  • Funzione economica. ...

  • Funzione di protezione dai pericoli esterni.

  • Funzione socializzante. ...

  • Funzione etica e religiosa.

  • Pilastro portante della società

  • Culla dell’identità

  • Strumento di mediazione tra il bambino e la società

La famiglia infatti, se funzionale, riesce ad assolvere a numerose ed importanti funzioni a favore della società è viceversa. E’ possibile, ma non è affatto conveniente, come spesso si vorrebbe e si è tentato di fare, rompere questo intimo sodalizio tra famiglia e società, in quanto se paragoniamo le famiglie alle cellule di un individuo, così come le cellule hanno bisogno dell’intero organismo per vivere, anche l’organismo ha bisogno delle cellule per la sua salute e per la sua sopravvivenza. Pertanto se la famiglia, ogni famiglia, ha bisogno della società, questa, a sua volta, non può fare a meno delle famiglie.



  1. TIROCINIO


CASO POSITIVO

1° Incontro

Accolgo i clienti e presentandomi ascolto le loro richieste per comprendere di cosa avessero bisogno. Una mediatrice o un counselor: succede spesso che coppie arrivino e chiedono qualcosa di diverso da quello che pensavano. Li chiamerò per convenzione Paola di 28 anni e Francesco di 32. Sono già separati, hanno due bimbi, una di 3 l’altro di 5 anni, ognuno ha la propria abitazione ed hanno già un piano regolarizzato dal giudice sulla gestione del tempo e la quota di mantenimento dei loro due figli.

Mi trovo sorpresa nel sapere che Francesco fornisce una quota in denaro anche a Paola anche se non è tenuto a farlo, ma subito non voglio sapere il motivo: lo avrei capito in seguito. Non mi appartiene il non indagare ulteriormente in casi come questo, ma in questo caso ho sentito che non era il caso di intervenire ed è stato molto utile. Sono fiera di me per essere stata capace di attendere i tempi dei clienti!

Mi chiedono di modificare gli orari e i giorni in quanto le cose tra loro genitori erano un po’ cambiate, migliorate se vogliamo, e il padre necessitava di vederli di più. Mi chiedono inoltre di aiutarli nella loro modalità di comunicazione in quanto la madre sosteneva che i bambini quando erano con il padre o alla notte facevano brutti sogni o erano di cattivo umore.

Mi accerto se mi è possibile modificare una sentenza del giudice anche perché loro mi comunicano che non hanno intenzione di comunicarlo all’avvocato e né tanto meno al giudice. Ne chiedo la motivazione e la risposta è che avevano capito che quella modalità burocratica era davvero limitata e, a loro parere, ingiusta in quanto , soprattutto il padre , non si era sentito né ascoltato e né capito.

Nel frattempo, avendo compreso che era un caso da mediazione, comunico loro il mio ruolo sostenendo che è un’opportunità in quanto nel momento in cui sarebbero uscite emozioni, dubbi, incertezze, dissensi, cambio di idea o quant’altro, si sarebbe potuto affrontarle e soffermarci, cosa che in un tribunale non sarebbe così scontato, confermando così quello che avevano già espresso.

Comunico altre piccole regole , quella di parlare rivolgendosi a me e non sovrapporsi, spiegandone anche il motivo e cioè per evitare di portare avanti una modalità che si era inserita tra loro e che, appunto, permetteva una cattiva comunicazione e comunicando tramite me avrebbero avuto la possibilità di ascoltarsi e vedersi in modo diverso; la riservatezza di tutto quello che avrebbero detto non sarebbe uscito dalla sede; se ci fosse stata la necessità ci sarebbero stati degli incontri individuali; alla fine della mediazione se richiesto avrei lasciato l’accordo scritto.

Comunico che non sono in possesso ancora dell’abilitazione di mediatrice ma che la struttura dove sto operando e la scuola che frequento mi tutela e mi concede la possibilità ugualmente di operare, in quanto tirocinante. Probabilmente l’empatia è scattata e mi rispondono che a loro va bene e che sono disposti ad intraprendere questo percorso.

Faccio firmare un documento che attesta quanto sopra.

Comunico inoltre che sono in possesso dell’abilitazione di counselor e spiegando la funzione della professione mi rispondono che si sentono ancora più al sicuro e tutelati. La madre mi comunica che molte volte non riesce a parlare col padre in quanto ha timore delle sue reazioni e quindi mi chiede di aiutarla.

2° Incontro

Mi arrivano con il planing settimanale da modificare ed è evidente che il padre è molto penalizzato ed è anche evidente che agevolarlo non fu la priorità del giudice.

Mi informo su quale sia stato il motivo di tale scelta da parte del giudice e Paola mi comunica che ci sono stati episodi di litigio e prese di posizioni da parte dell’ex marito e che, non trovando un accordo, venne proposto tale planing in modo perentorio ed indiscutibile.

Che cosa è cambiato da allora?

Fanno parte di un gruppo di chiesa e negli incontri tra i loro componenti, ne parlano e discutono e nel tempo si ammorbidisce la relazione.

Chiedo quali sono stati i conflitti che non hanno permesso una buona relazione e Paola inizia a raccontare che, quando rimase incinta del secondo figlio, Francesco incominciò a manifestare atteggiamenti insofferenti al punto che se ne andò di casa, ebbe un amante e quando Paola partorì lui andò in ospedale ma si messaggiava continuamente con la sua amante.

Dice inoltre che il carattere di Francesco era rissoso e scostante e che ha vissuto episodi pesanti precedentemente e ne racconta un paio. All’epoca aspettò che Francesco ritornasse a casa con i loro figli ma questo non accadde.

Paola chiede pertanto la separazione e Francesco incomincia a pentirsi e a rivolere la sua famiglia ma per Paola qualcosa era morto dentro e non volle ritornare indietro sui suoi passi.

Mentre Paola racconta Francesco esordisce dicendo che non smetterà mai di lottare per far ritornare Paola con i bambini da lui e che una seconda chance la merita

Quali sono le motivazioni per meritare la seconda chance?

Perché sono cambiato, perché ho capito i miei errori, perché ho capito il valore di Paola, quello che pensavo fossero difetti sono pregi, perché anche lei ha un caratterino e non è facile e questo caratterino mi piace.

Paola conferma che è migliorato ma lei lo teme ed è impaurita dalle reazioni passate e secondo lei sono ancora presenti in lui e i bambini quando stanno con lui e ritornano a casa raccontano che alla notte hanno avuto incubi

Mi trovo di fronte a qualcosa di inaspettato per me. Francesco è innamorato ancora di Paola e vorrebbe riunire la sua famiglia.

Propongo un incontro individuale con ciascuno dei due, in quanto ritengo necessario approfondire.


1° Incontro individuale con Paola

Incominciamo riprendendo quanto aveva detto Francesco e la mia domanda è se Paola sia interessata ancora alla relazione di coppia con Francesco. Lei mi risponde assolutamente di no, non si fida, ne ha passate molte e secondo lei Francesco non ha nemmeno un atteggiamento di essere davvero pentito e nemmeno di scuse.

Mi racconta altri episodi e mi rendo conto che Francesco è in uno stato di sofferenza con se stesso e che sarebbe utile per lui un buon percorso personale.

Paola malgrado tutto è molto disponibile, ha una situazione interiore equilibrata, una famiglia alle spalle protettiva e molto benevola nei suoi confronti, una buona relazione con la sorella e i conflitti che Francesco portava nella sua vita, per lei sono incomprensibili e inaccettabili, soprattutto per i suoi figli.

Mi rendo conto che vive in una “bolla” poco consona alla realtà ed è poco abile a gestire i conflitti e molto probabilmente anche i suoi interiori, perché è chiaro che lei non ne è esente.

Ha lasciato gli studi per fare la mamma ma anche perché Francesco non voleva che continuasse. Vuole riprendere a studiare!

Si crea una bella relazione tra me e Paola, si lascia andare nel raccontare fatti molto intimi, ma non comprendendo molto il perché, intuisco che una parte di Paola è ancora interessata a Francesco e chiudo l’incontro con una silenziosa domanda a me stessa: ma come posso avere questa sensazione? Lei è stata molto chiara e, sinceramente, fossi al suo posto, Francesco non lo vorrei nemmeno io.

Chiedo se posso, qualora fosse utile, parlare con lui presente. Mi chiede di non toccare l’argomento violenze verbali e fisiche, perché non vuole vedere più le sue reazioni e non ammissioni.

1° incontro individuale con Francesco

Francesco è un ragazzo molto diretto e schietto ed emerge subito la sua rabbia e aggressività: è parecchio sulla difensiva, mi comunica che sta facendo un percorso con un professionista e questo mi rassicura.

Tanti suoi problemi provengono dalla sua famiglia. Uno zio definito un po’ pazzo e pare che lui gli assomigli parecchio. Un’etichetta addossatagli, la madre molto controllatrice e poco affettuosa, ricerca la perfezione quando lei ne è il contrario, il padre per lui è una figura poco chiara, il ruolo non è definito, relazione poco empatica ed intima, ricorda poco di lui di quando era bambino, dice che è stato una figura evanescente.

Mi parla di come non è stato facile stare nella famiglia di Paola: tutti molto uniti e per bene. Si sentiva sempre un po’ fuori luogo, la sua famiglia è molto diversa, conflittuale, una madre in modalità controllo tutto io e lo zio un po’ fuori di testa. La famiglia di Paola compensava in parte quello che non aveva avuto.

Tuttavia Paola, secondo Francesco, viveva in una bolla tutta sua ed era difficile per lei accettare modi diversi di comunicare. Quello di Francesco era un modo irruento, diretto, scontroso anche, quello di Paola invece pacato, mai nessun conflitto, litigata o alzata di voce.

Mi confessa nuovamente che Paola è la donna della sua vita, non l’aveva capito prima e che anche quella “testaccia dura” che si trovava a lui piaceva e che avrebbe fatto di tutto per riavere il suo matrimonio. Chiedo se prende in considerazione che ciò possa non avvenire, mi risponde con un sorriso dicendomi che non gli interessa.

Chiedo anche a lui se posso parlare di quello che è emerso nel nostro colloquio mi dice che non ci sono problemi.

Ritorniamo ai colloqui in coppia e, apparentemente, sembra essere migliorato il clima, c’è più cordialità tra loro e sono rilassati; affrontiamo finalmente l’argomento figli e costruiamo insieme un nuovo planing sulla gestione dei tempi da aggiungere a favore di Francesco.

Paola è disponibile ma non è tranquilla, Francesco ha davvero una modalità possessiva e pretenziosa, si rompe in breve tempo una sorta di armonia che si era creata. Li ascolto e li lascio confliggere fino a che loro si accorgono del mio silenzio e si bloccano sfoderandomi una parvenza di sorriso che fa intendere: “non si può fare”.

Chiedo se sanno che cosa stava succedendo tra loro. Rispondono: è lui che mi provoca, è lei che ha sempre un atteggiamento diffidente, ecc.

Intervengo dichiarando che mi sarei presa uno spazio tutto per me e che avrei gradito un ascolto senza interventi e incomincio a comunicare che quello che accade tra di loro è solo per il fatto che continuano a vedersi come coppia, quello che sono stati e quello che hanno creato intorno a loro, continuano ad emergere dolori, incomprensioni, rabbie, vendette, posizioni diverse.

Per potersi togliere da questa modalità ci sono due vie, la prima è quella di andare a fare un percorso personale per risolvere tutte le problematiche che si portano dentro inerenti la coppia. La seconda è che incomincino a vedersi come una coppia di genitori e chiedersi che tipo di genitori vogliono essere, tutto ciò che vi portate dentro è utile per i vostri figli? Li invito a togliere lo sguardo da come vedono l’altro in funzione di quello che hanno vissuto e a provare a vedere se l’altro è una buona madre, o se è un buon padre e incominciare a lavorare su quello che va bene e su quello che deve essere migliorato. Trovare punti di incontro per il tipo di educazione che vogliono dare, come rapportarsi ai propri figli senza creargli conflitti perché non c’è accordo tra i genitori. Insomma puntare sui figli, sul loro bene e semmai puntare su di una buona qualità come “coppia di genitori”

Un silenzio di tomba che dura 30 secondi , chiudo la sessione invitandoli a riflettere su quale via vogliono intraprendere e dico che ne avremmo parlato la volta successiva.

Quando ci rivediamo mi accolgono con un abbraccio, tutti e due e per me è spiazzante, provo imbarazzo! Lo dichiaro e mi sorridono, Paola mi chiede: perché mai? Lascio cadere la risposta, non la so nemmeno io.

Iniziano col dichiararmi quello che avevano deciso e cioè di percorrrere la seconda strada da me prospettata: provare ad essere una “coppia di genitori “ possibilmente di buona qualità.

Chiesi cosa ne avrebbero fatto di tutto il resto e mi risposero che con quell’obiettivo sarebbero stati in grado di fermarsi. Francesco dichiara che per lui è più difficile in quanto vorrebbe la riconciliazione ma che ci vuole provare, lo invito a farsi aiutare dal suo professionista.

Comunico che posso offrire degli strumenti nel momento in cui accadrà che la coppia emerga, e questo accadrà sicuramente in quanto ci vuole tempo per cambiare dinamiche, modalità comportamentali. Tutto è molto più semplice quando si sceglie: sembra banale ma basta ricordarsi quello che abbiamo scelto e la consapevolezza di tutto ciò e uno strumento molto forte.

Francesco mi comunica che si è preso un tempo di pausa con il suo professionista perché ritiene che, con i nostri incontri , si trova a lavorare molto di più su se stesso, è più produttivo, comunico che non posso interferire con il suo sentire e che devo rispettarlo, ma che finita la nostra mediazione sarebbe stato utile per lui riprendere.

Ci sono stati altri 5 incontri , non perché sia stato necessario, in quanto diventa veramente più semplice lavorare insieme, ma loro mi chiedono di seguirli nel processo. Mettiamo mano al planning, definiamo i turni nelle feste di natale, lavoriamo sulla fiducia di Paola nei confronti di Francesco come padre e sulle pretese aggressive di Francesco nei confronti di Paola come madre.

Poi ci occupiamo di definire la gestione della scuola e di chi e come deve andare a prendere i bambini. Francesco avanza la richiesta di lasciare i genitori di lei fuori da questi accordi. Decidono infine che nel caso ijn cui Paola avesse avuto impedimenti importanti che non le consentissero di andare a prendere i bambini a scuola, allora la gestione della cosa sarebbe passata a Francesco e solo nel caso di impossibilità da parte di entrambi si sarebbe potuto ricorrere all’intervento dei genitori di lei.

La situazione finanziaria non è particolarmente conflittuale. Non emergono divergenze, né rancori o pretese da parte di entrambi. Dichiaro che la mediazione può considerarsi conclusa, ci lasciamo soddisfatti del buon lavoro e in buonissima empatia.

Non ho mai potuto verificare la mia sensazione su Paola circa il fatto che Paola avrebbe voluto riprendere la relazione con Francesco nonostante dicesse il contrario. Immagino sia stata una mia proiezione su quello che avrei voluto io.


CASO NEGATIVO

Mi comunicano che mi è stata assegnata una mediazione tra due persone provenienti dagli incontri con le assistenti sociali e passate anche da altre due mie colleghe e il direttore. Lo definiscono un caso complicato e bizzarro in quanto “giocano” e secondo il direttore vogliono mantenere un contatto con il consultorio senza voler risolvere davvero i loro conflitti.

Mi danno un po’ di fogli con le varie relazioni ma comunico che non li voglio e non voglio sapere nulla in quanto non voglio essere condizionata; accettano ma non di buon grado.

Li chiamerò Giorgio di anni 42 e Isabella di anni 32. Si sono conosciuti in un corso di tango e Giorgio ne era l’insegnante, sono sposati da 7 anni ed hanno un figlio di 6 anni.

Sono lì perché Giorgio ha usato violenze fisiche su Isabella e lei lo ha denunciato, la loro comunicazione è fatta di continue accuse e battute su quello che fanno.

1° Incontro

Mi presento comunicando che sono una counselor e sto eseguendo il tirocinio sulla mediazione familiare, comunico che ci sono delle regole da rispettare ma che le esporrò quando necessario, comunico che non ho voluto sapere nulla su di loro se non informazioni base (nome, figli, piccolo accenno sulla problematica) per non essere condizionata e che si troveranno a rispondere a mie domande sicuramente già fatte. Accettano e incominciano, prima Isabella e poi Giorgio, a raccontare la loro versione della storia.

Sono costretta a “starmene”, senza intervenire molto, nelle loro diatribe verbali fatte di continue riprese e svalutazioni varie. Lo scenario è triste e sconcertante ma ho poca esperienza e inoltre sono confusa in quanto la professione del counselor è diversa dall’approccio che un mediatore familiare deve avere. Li lascio confliggere e in un attimo di tregua mi inserisco nel discorso chiedendo a loro cosa si aspettano da me che da altri non hanno avuto.

Bella domanda, mi risponde Giorgio, ma è Isabella che se lo deve chiedere perché è a lei che non va bene nessuno e quando siamo nel clou di qualcosa lei scappa. Isabella risponde immediatamente dicendo che lui non sta alle regole e crea confusione continua e non se ne esce.

Domando a Isabella cosa vorrebbe succedesse per sentirsi tranquilla e lei mi risponde che a questo punto non lo sa proprio, che è stanca e iniziano nuovamente a confliggere accusandosi l’uno verso l’altra.

Situazione estrema e penso devo mediare… Ma cosa? E dove?

Chiedo a loro qual’è il conflitto che crea più problemi e Isabella esordisce velocemente dicendo che Giorgio continua a chiedere spostamenti del planing sulla gestione del figlio. Interviene Giorgio che racconta di fare un lavoro dove deve cogliere le occasioni lavorative di pausa e che la moglie lo sapeva bene. Succede quindi che si trovi spesso a dover rivedere ciò che hanno pattuito in precedenza. Isabella dice che non è disponibile ad assecondare tutti questi cambiamenti dell’ultimo momento e che il giudice ha stabilito così e cosi deve rimanere.

Ricomincia la loro modalità, lui è pesante con le parole, lei si difende ma vedo che cerca di trattenersi. Intravedo la paura di lei.

Sento il bisogno di trovarmi in quello che so fare meglio, cioè la counselor anche perché capisco che ci sono problematiche di coppia e propongo che inizierei con due o tre incontri per lavorare un po’ su di loro usando strumenti di counseling e la mia esperienza, sia di vita che professionale. Comunico che farò firmare loro un documento dove si dichiara che, in caso la relazione lo richiedesse, avrei usato tecniche di counseling.

Il mio scopo era di affrontare argomenti staccati da se stessi. Argomenti quali quelli di venire a conoscenza del perché le persone si incontrano e poi si perdono, da dove nascono i conflitti, come funzioniamo e cosa succede se non ascoltiamo i messaggi del nostro corpo e in generale. Comunico che la mia tesi finale in Counseling è stata stesa sul raspporto tra spiritualità e counseling, esprimendo che un aspetto non può esistere senza l’altro e che la mia esperienza di vita mi ha insegnato l’utilità e la potenza di questa lettura e che nelle mie sessioni la adopero spesso.

Non so se abbiano compreso bene ciò che sto proponendo ma mi dicono che va bene e Isabella dice di sperare che questa sia una buona novità. Comunico che la volta successiva avremmo firmato un documento nel quale si attestava quanto avevamo concordato assieme.

Prima di sottoporlo alla coppia, faccio leggere il documento al direttore della mia scuola e lui mi dice che va bene.

2° Incontro

Dichiaro che la volta precedente ci siamo lasciati con una mia proposta che in qualche modo ha creato un’aspettativa, Isabella dice che spera sia una buona novità. “Isabella che buona novità le piacerebbe avere?”, chiedo io.

Mi risponde che non ne ha la più pallida idea e che è da tanto tempo che non accade nulla di nuovo. Interviene Giorgio con la sua modalità irruente e aggressiva, per cui ribadisco le regole della mediazione, quale quella di non parlarsi addosso e di comunicare con me e non tra di loro. Li invito a rispettare le regole. Credo che siano riusciti ad attenersi alle regole per circa 20 minuti e solo perché, in quel lasso di tempo, o dato poco spazio a loro e ho parlato più io.

Inizio spiegando loro che solitamente i litigi nascono perché non siamo capaci di ascoltare l’altro, nessuno in realtà ce lo ha insegnato e pochi hanno il dono dell’ascolto. Questo comporta che spesso nelle relazioni ci troviamo a portare avanti una modalità poco costruttiva. Non essere ascoltati vuol dire non essere compresi e più ci sentiamo così, più la frustrazione aumenta per poi arrivare a creare il conflitto.

Anche non essere capaci a dire ciò che stiamo provando o sentendo, induce al litigio perché all’altro portiamo la reazione a quello che proviamo nel momento in cui non ci sentiamo capiti.

Ho la loro attenzione, ascoltano e annuiscono; continuo ancora, affermando che per poter uscire fuori dal litigio-conflitto il primo strumento è diventare consapevoli delle modalità che ciascuno dei due attua per entrare in contrasto. Se siamo consapevoli che non sappiamo ascoltare, non sappiano comunicare all’altro ciò che sto provando o vivendo, qualcosa accade dentro di noi.

D. “Secondo voi che cosa accade?”

R. “Immagino che se non lo so fare io, non lo saprà fare nemmeno l’altro”

D. “E cosa succede pensando in questo modo?”

R. “Se penso solo io così è una partita persa perché l’altro è convinto magari di sapere”

D. “Ma sei io sono consapevole e comunico all’altro che se stiamo litigando è perché non sappiamo ascoltare e nemmeno dire quello che viviamo davvero dentro, cosa può succedere?

R.G. “Io lo faccio ma lei non lo capisce, le spiego ma non ci sente”.

R. I. “Ma cosa vuoi spiegare che pretendi solo?”

Invito a restare sul pensiero e a non immaginarsi loro nella situazione.

Continuo a spiegare che questi tre strumenti, ascolto, comunicazione efficace e consapevolezza, sono la base per una buona comunicazione.

Tutti e due sono d’accordo e soprattutto NON LITIGANO e sono interessati. Iniziano a fare domande dicendomi che in fondo loro queste cose le sanno già e che però non gli sono mai venute in mente e mi chiedono come sia potuto succedere, secondo me…

Chiedo a loro di cercare le risposte e rimando loro un feedback fenomenologico: appena uno inizia a parlare, l’altro si infastidisce e si intromette. Chiedo se si accorgono di quello che succede ogni volta che uno interviene, mi rispondono che quando lui/lei parla allude a qualcosa sull’altro e questo è ciò che fa scattare la reazione negativa.

Penso che i due elementi della coppia si comportano proprio come due bambini e capisco la definizione di “bizzarri” del direttore.

Provo simpatia e tenerezza e mi viene spontaneo avere un atteggiamento scherzoso e guardandoli comunico che la sessione è terminata, li invito a pensare su quello che è stato detto e capire se sono interessati ad iniziare ad ascoltare e comunicare e che la prossima volta avrei portato una bella “bombetta” per loro.

Ridono con me e Isabella mi dice che non vede l’ora di capire cosa sia la “bombetta”.

La bombetta la uso nel momento in cui o c’è la relazione o per rompere una modalità di presenza o per provocare un po’, per arrivare al sodo. Solitamente funziona.

3° Incontro

Isabella mi comunica che ha interrotto gli incontri con l’assistente sociale dicendole che si trovava bene con me e la cosa mi spaventa molto in quanto sinceramente non mi sento ancora così sicura da rimanere l’unico loro riferimento. Intanto consegno loro il documento da firmare nel quale si dichiarava che qualora fosse stato necessario ci sarebbero stai interventi di counseling di coppia e che loro accettavano. (vedi allegato)

Chiedo se hanno pensato a quanto detto la volta precedente e mi rispondono che lo hanno trovato molto interessante, Isabella mi dice che forse si poteva fare qualcosa di utile.

Mi chiede subito della “bombetta” ed io, continuando con la modalità scherzosa della volta precedente, chiedo loro di sedersi che oggi ci sarei andata giù pesante.

D. “E se la modalità che avete nei confronti degli altri, fosse la modalità che usate con voi stessi?”.

Un lungo silenzio e Giorgio mi chiede di spiegarmi meglio. Io rivolto a loro la domanda, chiedendo di raccontarmi cosa hanno provato a livello corporeo e cosa hanno pensato ascoltando la mia domanda.

Isabella mi risponde che ha provato un pugno nello stomaco, Giorgio dice che ha percepito qualcosa di vero.

Approfondiamo queste loro sensazioni e, magicamente, ne parlano senza LITIGARE, ognuno espone il proprio pensiero tranquillamente.

Al che affermo che la relazione che ognuno di noi ha con se stesso è quella che è in grado di sostenere con l’altro. Se io non ascolto i miei disagi, le mie rabbie, le mie sofferenze non posso pensare di essere in grado di ascoltare e capire l’altro, se tratto male la mia parte emozionale più fragile non posso trattare bene l’altro, se non vedo i miei bisogni non posso vedere quelli dell’altro.

Le sessioni con loro le avevo stabilite della durata di un’ora e non di un’ora e mezza come da protocollo e questa è stata la prima volta che non ci sono stati scontri tra loro. Sia Giorgio, sia Isabella vengono sommersi dai loro pensieri e curiosità. Isabella comincia a chiamare Giorgio con un diminutivo affettuoso ed io rimango sorpresa in quanto non me lo aspettavo.

Chiudendo la sessione chiedo come si sentono. Giorgio risponde che sta molto bene e che è soddisfatto di essere lì. Isabella dice che si sente tranquilla perché quello che stiamo facendo non avrebbe avuto ripercussioni su di lei. Rispondo che se vuole, avremo modo di approfondire questo concetto e lei mi risponde che preferisce di no. Penso dunque di proporre, più avanti, incontri individuali ma ora mi concentro sul continuare sulla strada intrapresa poiché si iniziano a vedere i primi frutti e la fiducia si sta consolidando.

Il giorno dopo mi chiama l’assistente sociale comunicandomi che Isabella ha interrotto i loro incontri e raccontandomi la sua motivazione. Mi chiede se è possibile restare in contatto per collaborare sulla situazione. Rispondo che per me va bene, fermo restando l’approvazione del direttore.


4° e 5° Incontro

Continuiamo ad approfondire anche filosoficamente gli argomenti che emergono, provo a coinvolgerli chiedendo se questa visione può aiutarli nella loro comunicazione e può servire ad allentare le tensioni. Mi rispondono in modo vago e Isabella cambia velocemente argomento. Mi chiede “Ma se tutto dipende dalla relazione che ho con me stessa, come faccio a gestire l’altro, che a sua volta non ha una buona relazione con se stesso?”.

Chiedo se hanno un pensiero in proposito ma non emerge nulla e incominciano a confondersi. Così decido di intervenire prendendo loro in esempio. Dico loro che se entrambi vengono a conoscenza di questo, ognuno lavorerà su se stesso e, di conseguenza, lo sguardo sull’altro si può ammorbidire, le accuse e le modalità di scontro si possono allentare in quanto si sa che se uno mi tratta male è perché lo fa con se stesso e viceversa se tratto male posso dirmi che è il modo con cui tratto me.

Sembra complicato ma ha una sua logica; si accende un po’ la comunicazione ma niente a che vedere con quello che mi presentarono quando vennero la prima volta.

Domande e risposte fluiscono ed è piacevole ascoltarli. Mi ricordo che sono venuti da me per una mediazione e che quello che avevo proposto aveva l’obiettivo di permettere che la comunicazione migliorasse per sistemare bene la situazione planning del figlio.

Isabella vuole approfondire il planning e incominciamo a scrivere giorni ed orari. Una volta terminato si inceppano sulla richiesta di Giorgio di concedere delle modifiche qualora ci sia la necessità

Rimango sorpresa nel constatare che il papà tiene tutto il giorno il bambino mentre la madre solo alla sera, poi realizzo che lei lavora di giorno e lui alla sera, quindi ecco la spiegazione del perché non vuole concedere cambi. Vede poco suo figlio durante il giorno e non vuole privarsi di vederlo alla sera, pensai. In realtà, oltre a questo, c’era evidentemente una posizione rigida nei confronti del marito. Volano insulti e recriminazioni, anche pesanti. Ormai la relazione in qualche modo tra noi si è costituita e pertanto mi permetto di intervenire in modo poco professionale esordendo con: “Se non la smettete vi butto un'altra bombetta”. Si mettono a ridere, in realtà ridiamo insieme e a quel punto pretendono subito la provocazione promessa.

D. “Ma se vi dicessi che siete tutti intenti ad accusarvi, insultarvi ecc. ma in realtà l’altro è il vostro specchio?”.

Isabella esordisce subito con un “Io non sono come quello lì” e Giorgio invece dice “No, no, mi sa che è vero”. Mi immagino che stia usando quella possibilità per andare contro Isabella e cerco di spiegare bene il concetto. Racconto la storiella dello zainetto davanti, quello degli altri, e il nostro dietro quindi non potendolo vedere, siccome è difficile vedere i nostri difetti, vediamo meglio quelli degli altri, quello che ci da fastidio nell’altro in qualche modo ci appartiene, l’altro è lo strumento per la nostra crescita.

Giorgio rinforza la sua modalità e incomincia a fare domande per capire meglio il concetto. Isabella invece si chiude in un totale silenzio.

Due giorni dopo ricevo una mail dove mi comunicano che i nostri incontri si fermavano qui.

Dove ho sbagliato?

Non ho preso in considerazione in modo serio il terrore che Isabella nutriva per Giorgio e quell’argomento era troppo pericoloso per lei? Giorgio avrebbe usato quello strumento per andarle ulteriormente contro? Col senno del poi mi sono immaginata cosa può aver visto Isabella con una cosa del genere da gestire o solo anche da prendere in considerazione. Sarei scappata anch’io probabilmente. Mi sono lasciata prendere dal buon esito di quelle conversazioni propedeutiche poi per affrontare la mediazione e ho perso di vista Isabella anche se messaggi me ne aveva lanciati.

In effetti avevano lo stesso atteggiamento di affrontare i conflitti, le liti. Ognuno stava sulle proprie posizioni e si accusavano a vicenda. Lei era convinta che lui fosse geloso per la sua formazione di studio e lui convinto che lei si sentisse inferiore per le donne che giravano intorno a lui.

Dopo una settimana arriva una mail di richiesta ripresa colloqui con le scuse per la mail precedente, ma il direttore vuole prendere tempo e comunica loro che per ora non è possibile farlo e che ne avremmo potuto riparlare in un secondo tempo.

Ora, con più esperienza, avrei indirizzato le loro diatribe, conflitti, indiscipline ad una scelta. Se volevano continuare in quel modo la mediazione non poteva funzionare, quindi si chiudeva oppure si sarebbe dovuto puntare sul loro essere genitori e quindi lavorare sulla coppia genitoriale, anche perché questo è il ruolo effettivo della mediatrice.


Caso in essere

Una coppia viene nel mio studio e chiede di essere aiutata a capire se loro possono ancor stare insieme o devono iniziare una separazione.

Carla è spagnola di 45 anni e Pietro è ligure di 50 anni; si sono conosciuti ad una mostra navale e di cui Pietro è un rappresentante..

Fu un colpo di fulmine, attrazione fisica fortissima e la loro storia ebbe inizio. Dopo 6 mesi Carla rimase incinta e decisero di tenere il bimbo anche se si conoscevano da pochissimo tempo. Pietro le disse che non era preoccupato perché, anche fosse andata male la loro relazione, lui sarebbe stato tranquillo in quanto Carla sarebbe stata una buona madre ricca di valori.

Facciamo un percorso di 4 incontri di counseling di coppia e li trovo in continua reattività, disinnamorati e in perenne conflitto.

Carla è “distrutta psicologicamente” dalle continue richieste di Pietro di cercarsi un lavoro, offendendola e svalutandola. Nell’incontro individuale con Carla emerge che quando rimase incinta, si trovò in una situazione nuova che non era in grado di gestire. Tutte la sue energie andarono per affrontare l’essere madre e il desiderio di essere la “migliore delle madri” e incominciò anche a negarsi sessualmente.

Passarono gli anni e Pietro dopo tre anni dalla nascita della bimba iniziò a pressarla perché lei si trovasse un lavoro. Da allora trascorsero 5 anni estenuanti per Carla col risultato che ora lo odia e non lo sopporta più.

Pietro, dal canto suo, non riusciva a capire che cosa stesse succedendo e incominciò a leggere il comportamento di Carla come un approfittarsi di lui. Entrò in reazione e questo a sua volta creò reazioni a Carla: vissero 5 anni in reattività.

Alla fine del 4° incontro dichiariamo che restare insieme è davvero difficile ed è troppo tardi per recuperare: ne avrebbe subito le conseguenze la figlia. Carla ha un carattere molto impulsivo e si sofferma poco con se stessa. Lavoriamo un po’ su questa modalità ma Carla ama essere così, le piace anche se comprende che può creare dei problemi.

Le chiedo se può prendere in considerazione che questo atteggiamento sia poco costruttivo per la comunicazione e mi risponde che lei ha cercato in tutti i modi di comunicare a Pietro che non voleva approfittarsene ma lui ha continuato a pensarla nello stesso modo.

Mi chiedono di aiutarli nel gestire la separazione, i tempi, le priorità e come comunicare alla bimba la decisione.

Alla mia domanda, se avessero compreso o se si fossero fatti un idea su cosa fu a portare la loro relazione a questi livelli, dichiarano ambedue che si sono scoperti superficiali. In realtà non si sono mai posti il problema di chiedersi cosa vogliano da una relazione, di cosa abbiano bisogno, cosa sia più importante per loro e che tipo di compagna/o sia necessario per poter stare bene.

Comunico che mi sarei informata se avessi potuto fare la mediazione in quando erano venuti per un percorso di coppia. Mi supplicano di poter continuare con me in quanto la loro fiducia e stima nei miei confronti è ormai consolidata e, trovandosi bene, si sentono al sicuro.

Mi informai e li presi in carico in mediazione


1° e 2° Incontro di mediazione

Comunico loro tutto quello che è necessario per comprendere che cosa sia la mediazione. Mi soffermo a lungo in quanto devono avere ben chiara la differenza tra il colloquio di counseling e la mediazione familiare. Sapevo che non sarebbe stato facile e che sarebbero caduti ancora nella dinamica della coppia ma questo avviene anche in casi di separazione già avvenuta.

Comunico in modo deciso e assertivo che il lavoro sarebbe stato fatto sulla coppia genitoriale e che si sarebbero dovuti impegnare a contenere i loro atteggiamenti reciproci in quanto, in quel modo, la mediazione non avrebbe funzionato.

Iniziamo con gli argomenti che loro mi indicano come prioritari. La prima cosa importante è che Carla trovi un lavoro così Pietro potrà calmare la sua tensione e creare un ambiente sereno per poi iniziare a preparare la bambina alla separazione di mamma e papà.

Nonostante Carla sia d’accordo Pietro continuerà a insidiarla con messaggini del tipo: “hai telefonato ai numeri che ti ho dato? Perché non hai ancora telefonato? Hai mandato cv in giro?”

Dobbiamo soffermarci ancora su queste diatribe. Ascolto ancora la frustrazione di Carla e sto con lei. Mi rivolgo a Pietro chiedendo: “che cosa non ti permette di abbandonare questa modalità insistente? Abbiamo osservato le dinamiche di questa relazione, il mio lavoro la vostra pazienza e il tempo sono dei buoni alleati. Risponde che fa fatica a dare fiducia a Carla.

D. “di che cosa avresti bisogno per recuperare la fiducia in lei?”

R. “dovrei vederla attiva e impegnata nel cercarsi un lavoro”.

Carla è insofferente ma non dice nulla”.

Alla fine del secondo incontro Pietro, anche se precedentemente aveva chiesto scusa, rilancia la proposta che Carla, appena avesse trovato un lavoro, si sarebbe dovuta trovare anche un appartamento. Lui vorrebbe una casettina con giardino per la figlia che lo desidera e, con i soldi dell’affitto della casa dove vivono ora, potrebbe mantenere tranquillamente la bimba e aiutare Carla qualora fosse in difficoltà.

Mi sembra una buona proposta ma Carla esplode e urlando dice: “o mi dai il tempo di cui ho bisogno per il lavoro e la casa, senza più tediarmi, o vado da un avvocato. Si rivolge a me dicendomi che lui la vorrebbe “sbattere fuori da quella casa” mentre lei vorrebbe restare con la bambina per tutto il tempo che le serve. “Non è detto che ciò possa avvenire anche se io trovassi un lavoro” dice!. Continua esponendo che lei è sola, non ha famiglia qui dove vive e che non possiede nulla. La voglia di tornare al suo paese con la bimba è grande ma capisce che non lo può fare perché il legame tra il padre e la figlia è forte e le arrecherebbe del danno. Inoltre, continua, è possibile che dopo 10 anni insieme mi debba trattare così? Sono la madre di sua figlia!

Concludiamo che ne avremmo parlato la volta successiva.

Pietro due giorni dopo mi telefona e mi chiede un appuntamento per un consiglio. Mi dice che Carla ha deciso di andare dall’avvocato e che sospende la mediazione. Mi chiede che cosa sarebbe successo e lo invito ad interpellare un legale per avere risposte appropriate e documentate.

Posso però comunicare l’iter di quando si affronta quella via ed è: molte spese di avvocati, atti giudiziari, tempi lunghi; inoltre i giudici, oberati di lavoro, sono sbrigativi e poco disponibili ad ascoltare le diatribe e le reciproche posizioni. Le sentenze rimangono così poco soddisfacenti creando, a parere delle coppie, delle ingiustizie. Il rischio infine è che, se continuate a litigare, il giudice possa fare intervenire gli assistenti sociali per tutelare la bimba e verificare se l’ambiente dove vive sia sano.

Ci lasciamo con la sua proposta di convincere Carla a ritornare in mediazione e con la promessa di non tediarla più concedendole il tempo necessario. Comunico che alla fine della mediazione l’accordo verrà scritto ed avrà un valore qualora venga usato.

Esco pensando che per poter usare il buon senso a volte le persone devono trovarsi alle strette e mettere da parte orgoglio e posizioni. Pietro finalmente realizza cosa comporta la sua modalità.


3° Incontro

Arriva Carla 5 minuti prima di Pietro e aspettandolo le chiedo come sta e come fosse riuscita a calmare la sua ira espressa l’ultima volta. Mi risponde, col suo accento spagnolo che trovo molto simpatico, dicendo che lei è fatta così, si arrabbia ma poi le passa! Mi dice che Pietro le ha detto di prendersi tutto il tempo necessario per trovare lavoro, che non ci sono problemi, di restare nella casa con la bimba e che lui, non avendo possibilità finanziarie per affittarsi un appartamento, resterà a casa con loro. Nel frattempo arriva Pietro e chiedo come sta. Lui risponde bene!

Apparentemente bene, in quanto Carla non vuole che Pietro resti a casa e gli chiede di trovare una soluzione per andarsene. Pietro è in grande difficoltà; mi guarda e incomincia a dire che la signora qui presente pensa che lui abbia parecchi soldi. Inizia ad esporre la sua situazione finanziaria non particolarmente prospera. Carla gli propone di andare a vivere dalla madre e Pietro ribatte dicendo che non c’è una camera disponibile per la bimba.

Le proposte di Carla per convincere Pietro ad uscire di casa, vengono piano piano “smontate”. Carla, a questo punto, dichiara che il suo avvocato le aveva detto che se lei avesse scritto una lettera comunicandogli di andarsene lui sarebbe stato costretto ad andarsene.

Un silenzio “rumoroso” avvolge la stanza; la tensione di Pietro urla dentro di lui ed io la sento, credo che anche Carla l’abbia percepita. Guardo Pietro e chiedo cosa stia succedendo. Lui mi guarda ma non riesce a parlare, respira profondamente, passa del tempo e poi inizia:

Quando ho conosciuto Carla ci siamo innamorati, aveva debiti li ho sanati, le ho dato una vita decorosa a lei e alla bimba, non ho mai fatto mancare loro nulla. Ho solo avuto la pretesa di invitarla a cercarsi un lavoro quando la bimba incominciò l’asilo Ma cosa ho fatto di così terribile per essere sbattuto fuori di casa?

Non è colpa nostra se non andiamo d’accordo, siamo diversi e tutto ciò deve essere penalizzato in questo modo? Carla interviene dicendo e cosa ho fatto io di male? Intervengo riformulando a Carla quanto avesse detto Pietro e lo porto sul piano del sentimento e del disagio nel trovarsi in quella situazione: genitori, amici, mondo sociale e verso se stesso Chiedo a Carla cosa ne pensa.

E’ in imbarazzo e dice che non vuole questo ma lui è insopportabile da vivere e lei non ce la fa più!

Riespongo l’iter della via legale con tutti i pro e i contro a cui andrebbero incontro e sono più i contro.

Rassegnata Carla accetta che lui stia nella casa. Situazione non facile in quanto devono dormire insieme. Hanno fatto un lavoro profondo con la bimba per farla dormire nella sua camera e, ora. non se la sentono di proporle di andare a dormire con la madre e il padre nella sua cameretta

Insieme decidiamo che è il momento di iniziare a parlarne alla bimba e mi chiedono se sia possibile portarla una volta in studio per parlare anche con me. Ci lasciamo dicendo che avrei dato una risposta all’incontro successivo.

4° Incontro

Anche Pietro è stato dall’avvocato perché Carla, tornata a casa dopo il nostro incontro, ritorna a dire che lui se ne deve andare.

Dopo aver parlato con l’avvocato Pietro dice di essere più tranquillo. La richiesta di Carla di andarsene di casa non avrà effetto immediato. Carla dovrà trovarsi prima un lavoro per poter mantenere le spese della casa e Pietro dovrà sostenere tutte le spese per la figlia.

Sono più sereni e sono pronti per parlare con la bimba. Nel frattempo si scambiano promesse da mantenere e vengono accettate da entrambi.

Sono previsti altri incontri inerenti alla modalità da usare per comunicare la separazione alla bimba e a come fronteggiare le possibili reazioni della stessa nel momento in cui ne verrà a conoscenza.


  1. Counselor e mediatrice familiare

Un mediatore familiare non è detto che sia anche un counselor ed io che lo sono devo ammettere che inizialmente ho trovato difficoltà a scindere le due professionalità.

Faccio volontariato da sei anni presso un consultorio familiare diocesano, ambiente protetto, e le regole, protocolli professionali sancite dalle associazioni vengono un po’ sorpassate e siccome il counselor non è visto bene dagli psicologi e una sorta di guerra è in atto, voglio essere più precisa possibile, non voglio trovarmi con una denuncia, anche perchè nel mio studio è accaduto che uno psicologo si fosse presentato come cliente e lo capii per la difficoltà che creava facendomi domande ben precise

Quindi inizialmente entrai così tanto in confusione al punto di avere difficoltà nelle mediazioni di tirocinio, mi veniva spontaneo soffermarmi sugli atteggiamenti, espressioni del viso, approfondire stati d’animo, ecc.

Quando mi affiancavo ad una mediatrice familiare dell’Asl, la trovavo così asettica e quando di fronte alla cliente che parlava poco, e quindi non riusciva ad andare avanti, rimasi sbalordita quando chiuse la mediazione e inviò la sig.ra da uno psicologo. Quando finì la sessione, le domandai come mai non volle incontrarla da sola per capire come mai non parlasse. Lei mi rispose: questa è una mediazione e non una seduta dallo psicologo, oltre tutto lei è una psicologa.

Anche durante le lezioni in aula, la docente avvocato-counselor e mediatrice familiare ci sottolineava che la parte esplorativa di come sta il cliente non deve troppo emergere. Meglio soffermarsi sulle soluzioni di problemi pratici e burocratici, divisioni dei beni, degli immobili, la gestione dei bimbi, ecc..

Pensai spesso “Difficile mettere da parte una professione che amo tantissimo e investirmi di qualcosa che forse non mi apparteneva e infatti ho messo in discussione la scelta di questo corso pensando di avere sbagliato; con le mie colleghe ci confrontammo e provavamo un po’ tutte le stesse sensazioni, ma dovevamo andare avanti.

Più andavo avanti e più emergeva che tra i clienti vi erano parecchi problemi non risolti di coppia e le mediazioni erano difficili da portare avanti proprio per i loro conflitti e rancori, e secondo me era necessario soffermarsi per parlarne e forse portare loro degli strumenti per andare avanti. In molte coppie separate accade che uno dei due non abbia accettato la separazione e confligge in continuazione creando non pochi problemi.

Mi trovavo a contestare parecchie volte con i docenti che non era possibile essere counselor e fare la mediatrice o, quantomeno, che io non riuscivo e riconosco di essere stata noiosa, ma dovevo uscirne in qualche modo, due anni di impegno, denaro e investimento professionale non era accettabile.

Un giorno il direttore della scuola fece un intervento dove dichiarò che si possono usare le competenze del counselor nella mediazione e che sarebbe stato una risorsa per una buona mediazione, credo davvero di essere stata salvata, mi sentii felice, sollevata e libera .

Allentai le mie tensioni, mi lasciai andare e incominciai a mediare e piano piano imparai a gestire le due professioni, ad accorgermi dove usavo il counseling e dove la mediazione. In realtà il counselor fa da mediatore, ma spazia nell’esplorazione. Il mediatore è più mirato nel restare sulla parte burocratica da gestire, figli. beni comuni da dividere, alcuni arrivano con la richiesta di imparare a comunicare in quanto anche dopo la separazione resta difficile farlo e complica tutto, in questo caso il counselor interviene spesso.

Nella coppie separate non sempre tutti e due sono d’accordo e quello che subisce la scelta resta arrabbiato, complicando qualsiasi cosa e credo che fare il mediatore ed essere un counselor sia un vantaggio, forse più per la coppia, in quanto possono essere seguiti e non abbandonati perché la mediazione non funziona.

Per ora ho avuto 5 esperienza di mediazione: due con buon esito, una fallita una non conclusa e una in essere. Con quest’ultima mi sento più sicura, ho più elementi e strumenti da usare e, la cosa più importante, mi piace, mi appartiene e sono contenta di provare questa sensazione.

Mi trovai a fare una riflessione che ancora adesso non so dove collocare. Ho avuto la sensazione già con il counseling di coppia che se alcune coppie avessero fatto un percorso prima della separazione molte di loro non sarebbero arrivate alla separazione. Ad esempio, nel primo caso da me citato la coppia in questione aveva ancora molto da condividere. Credo che oggi sia diventato molto facile separarsi, anche in presenza di figli. Forse un nuovo elemento da inserire nel rito di matrimonio sarebbe quello di dire: “nel bene e nel male e ti accetto con i tuoi difetti e mi impegno sempre a ricostruire” perché si tratta proprio di questo. La convivenza porta a vedere la persona per come è. Questo spesso ci delude, non è quello che immaginavamo, che ci aspettavamo.

Qualsiasi cosa accada dovremmo avere lo sguardo per poter costruire su quella delusione, sempre se non ci siano violenze o perversioni. E’ un impegno ulteriore sull’umanità della persona, limitata e “peccatrice”, inoltre quello che emerge forte è la poca conoscenza, la non relazione di base con se stessi e di conseguenza è molto difficile poter averla con altri, la mancanza di genitorialità con se stessi non permette di avere rispetto per i figli e quindi essi vengono coinvolti nei conflitti e vendette.

Tutto ciò non permette una buona mediazione e io ritengo che sia un opportunità per la copia separata, in quanto con il mediatore possono permettersi di cadere in diatribe senza conseguenze, come invece accadrebbe davanti ad un giudice, possono cioè rivedere e discutere assieme le rispettive posizioni.

  1. CONCLUSIONE

Lo scopo della mediazione è quello di generare buonsenso, ragionevolezza e ristabilire una comunicazione per trovare quel che è comune tra gli opposti.

Dalle esperienze che ho fatto nell’ambito delle mediazioni e che, se pure parzialmente, ho riportato nelle pagine precedenti ho potuto osservare diversi aspetti.

La prima cosa che posso dire è che negli incontri di mediazione si ha scarsa possibilità di entrare in contatto con le enormi ricchezze interiori che ogni essere umano ha.

Durante gli incontri l’attenzione è focalizzata principalmente sui problemi pratici, sulla gestione dei figli, molto spesso trattati alla stregua di pacchi da collocare, sulle cose materiali ed economiche. Alcuni sono pieni di rancori e tutto quello che c’è stato di buono e bello nella relazione sembra non essere mai esistito.

Le separazioni sono dei lutti da elaborare e a volte trovo irritante vedere come le coppie banalizzino i reciproci comportamenti, le emozioni, i sentimenti. In questo modo i lutti non possono essere elaborati perché le dinamiche in gioco fanno perdere di vista quello che è la persona con tutto quello che si porta dentro. E’ altresì vero che il nostro contesto sociale e culturale porta ad essere superficiali nella lettura dei sentimenti umani.

Vorrei potermi soffermare, all’inizio di ogni mediazione e per almeno una sessione, a ricordare tutto quello che sono stati insieme, quello che hanno fatto, costruito, sofferto, gioito. In ultima analisi se le separazioni avvengono è perché le coppie si sono perse di vista e forse perché ognuno è perso dentro a se stesso.

Quello che voglio dire è che questa professione deve trattare la parte più materiale delle persone ed è chiaro che non parlo di persone che hanno subito violenze psicologiche e fisiche, soprusi, aggressioni.

Mi hanno chiesto come possa essere una mediatrice familiare non avendo mai avuto una mia famiglia e benché abbia trovato sciocca una domanda del genere, mi sono soffermata a pensare. La famiglia ritengo faccia parte di noi, abbiamo dentro la relazione genitoriale con noi stessi e questo ci permette di sentirla, viverla e di essere empatici in quel contesto. Per quanto mi riguarda la famiglia può essere composta anche da due persone solamente e non è detto che debba essere composta necessariamente da un uomo e una donna.

Un'altra considerazione vorrei fare. Non ho ancora molta esperienza in questo campo ma, ho notato che se anche la relazione tra mediatore e cliente funziona, i clienti hanno bisogno di interpellare l’avvocato per sentirsi più al sicuro o per avere potere su quello che vogliono.

Mi sembra di capire che l’obiettivo della mediazione, non è quello di proporre nuovi valori, ma di mettere in comunicazione quelli portati da ogni individuo. In ambito familiare, la mediazione lavora sulla responsabilità delle persone coinvolte ad assumere degli impegni come volontà di cambiamento; è importante sottolineare l’aspetto progettuale della responsabilità, cioè la proiezione verso il futuro.

La mediazione è una sfida, per le coppie e per chi la pratica, un investimento per il futuro dei legami familiari.


Ritengo che sia un’opportunità per chi si separa scegliere la mediazione. Con il mediatore possono permettersi di cadere in diatribe senza subirne le conseguenze (come invece accadrebbe davanti ad un giudice) e possono rivedere le proprie posizioni. Mi auguro pertanto che la legge Pillon possa infine venire approvata.


  1. RINGRAZIAMENTI

Sono grata alla vita, ho avuto molto e molto gratuitamente ed è per questo che amo fare volontariato e offrire gratuitamente il mio servizio!

Ringrazio la mia resilienza che in questo master è stata messa a dura prova ma eccomi qui…ho portato a termine tutto!

Ringrazio il mio compagno Bruno che mi ha aiutato nella tesi e nella parte finanziaria.

Ringrazio sempre me stessa e tutti quelli che hanno contribuito a diventare quello che sono!

GRAZIE!


Torna Su