A.S.P.I.C
ASSOCIAZIONE PER LO SVILUPPO
PSICOLOGICO
DELL’INDIVIDUO E DELLA COMUNITA’
Scuola
Superiore Europea di Counseling Professionale
MASTER DI MEDIAZIONE FAMILIARE
“Mediazione
Familiare”
Allievo Supervisore
Luciana Baldin Marco Andreoli
SOMMARIO
1 - Un po’ di
storia e cos’è la mediazione familiarE………………………….3
2 – CHE COS E’ LA
FAMIGLIA…………………………………………………………………......13
3 –
TIROCINIO…………………………………………………………………………………………..19
caso positivo
caso negativo
caso in essere
4 – COUNSELOR E MEDIATRICE
FAMILIARE……………………………………………...47
5 –
CONCLUSIONE…………………………………………………………………………………….51
6 –
RINGRAZIAMENTI………………………………………………………………………………54
-
Un po’
di storia e cos’è la mediazione familiare
Immagino che la mediazione
familiare in qualche modo sia sempre esistita, non si sapeva che fosse
mediazione, non se ne parlava. Avveniva in modo spontaneo, ci si
rivolgeva all’anziano della famiglia, al medico e al prete della
comunità.
Le persone, tanto tempo fa, non
erano in grado di tenere dentro di se dolori, sofferenze, conflitti,
dubbi senza il bisogno di parlarne con qualcuno e soprattutto avevano la
possibilità di farlo! L’istituzione della mediazione familiare ha
incominciato ad emergere proprio per sopperire alla mancanza di quella
modalità semplice e spontanea. L’individualismo e la chiusura interiore
verso l’altro hanno portato solitudine, divisione e sempre più conflitti
interiori. Si è persa l’abitudine di raccontare cosa ci succede e come
conseguenza la comunicazione è venuta a mancare fino al punto di essere
incapaci di farlo.
Ecco l’esigenza sociale di una
persona ben definita che possa essere in grado di comprendere ed aiutare
ad affrontare l’incapacità di comunicare e cioè il mediatore familiare.
Si inizia a parlare, infatti, di
mediazione nel quinto secolo a.C., quando in Cina Confucio, avvertendo
degli esiti potenzialmente negativi del processo che avrebbe potuto
lasciare i contendenti insoddisfatti e incapaci di cooperare, invita il
popolo a rivolgersi ad un terzo neutrale che avrebbe facilitato il
raggiungimento di un accordo.
Si sa anche, dagli scritti di
Gulliver e di Roberts degli anni settanta, che in certe regioni africane
è molto remota la tradizione di chiedere ad un consiglio di anziani di
intervenire e risolvere le controversie tra villaggi o tra famiglie del
villaggio.
Nel 1923 Grinnel descrive, tra i
doveri dei capo Cheyenne, quello di pacificare e intervenire per
risolvere qualsiasi lite fosse sorta nel campo
Il primo centro di mediazione
familiare nasce nel 1974 ad Atlanta per opera dello psicologo e avvocato
statunitense James Coogler. Nel 1975, sempre ad opera di Coogler, nasce
la Family Mediation Association che offre un servizio di mediazione alle
coppie in via di separazione o divorzio.
La mediazione familiare è un
intervento professionale rivolto alle coppie e finalizzato a
riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di
separazione e/o di divorzio. Obiettivo centrale della mediazione
familiare è il raggiungimento della co-genitorialità (o
bi-genitorialità) ovvero la salvaguardia della responsabilità
genitoriale individuale nei confronti dei figli, in special modo se
minori.
La mediazione familiare è una
disciplina trasversale che utilizza conoscenze proprie alla sociologia,
alla psicologia e alla giurisprudenza finalizzate all'utilizzo di
tecniche specifiche quali quelle di mediazione e di negoziazione del
conflitto.
Requisito indispensabile per
intraprendere un percorso di mediazione familiare è l'assenza di
conflitto giudiziale in corso. La mediazione familiare è infatti
finalizzata al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla coppia al
di fuori del sistema giudiziario. Si ricorre a quest'ultimo (separazione
e/o divorzio consensuale) solo per le omologhe di Legge degli accordi
raggiunti. Tale tipologia di mediazione che affianca gli aspetti emotivi
a quelli più strettamente legali è spesso definita anche mediazione
globale.
In Italia
Parallelamente alle prime
esperienze francesi nel 1987 si costituisce a Milano l'associazione GeA
(Genitori Ancora) con l'intento di divulgare la pratica della mediazione
familiare.
Nonostante la sostanziale
indifferenza sia del legislatore che degli organi giudicanti, nascono un
po' in tutta Italia centri sperimentali di mediazione familiare cui
fanno seguito le prime scuole per formare i futuri mediatori familiari.
Successivamente nascono alcune
associazioni con l'intento sia di raggruppare i vari mediatori familiari
sul territorio sia di diffondere la cultura della mediazione stessa.
L'obiettivo è inoltre quello di definire, in assenza di una
regolamentazione statale, alcuni criteri quali quelli formativi e
deontologici.
In Emilia Romagna
La Regione Emilia Romagna è l'unica
in Italia nella quale il servizio pubblico di mediazione familiare è
diffuso in modo capillare ed omogeneo su tutto il territorio regionale,
accogliendo circa 1000 richieste all'anno. L'intervento, attivato nel
1994 inizialmente solo nelle città capoluogo, è completamente gratuito
ed è collocato presso i Centri per le Famiglie (attualmente 32 in tutta
la Regione). A partire dal 2002 l'attività di mediazione familiare in
Regione è supportata e coordinata da un servizio appositamente
istituito.
Attualmente in Italia la mediazione
familiare non è una professione regolamentata, non esiste cioè un organo
istituzionale vigilante (come un Albo o un Ordine professionale) né dei
requisiti minimi definiti dallo Stato per poterla esercitare.
Solitamente viene praticata da figure professionali già strutturate -
quali avvocati, psicologi, assistenti sociali.
Dal 2013 uscì la legge 4/2013 che
costituisce la normativa di riferimento in materia di ‘professioni non
organizzate in ordini o collegi’, o anche ‘professioni associative’.
Tale seconda denominazione discende dalla regolamentazione della stessa
L. 4/2013 che prevede la possibilità di formare associazioni di natura
privatistica per le professioni senza albo.
Le associazioni non hanno vincolo
di rappresentanza esclusiva della professione in questione, lasciando
così sussistere la possibilità che ne esistano varie per la medesima
figura.
La legge 4/2013 contiene la
regolamentazione delle professioni non riconosciute, cioè quelle senza
albo e non ordinistiche. Sebbene le associazioni di professioni non
regolamentate forniscano garanzie peculiari, è possibile esercitare le
attività della figura anche in autoregolamentazione se in conformità con
la normativa tecnica UNI (direttiva 98/34/CE).
UN, Ente Nazionale Italiano di
Unificazione, è un’associazione privata senza scopo di lucro
riconosciuta dallo Stato e dall’Unione Eurasi Elabora e pubblica norme
tecniche volontarie appunto le norme UNI in tutti i settori industriali,
commerciali e del terziario
I compiti principali dell'UNI
sono
-
elaborare nuove norme in
collaborazione con tutte le parti interessate;
-
rappresentare l'Italia nelle
attività di normazione a livello mondiale (ISO) ed europeo (CEN)
allo scopo di promuovere l'armonizzazione delle norme, recepire
norme EN o EN ISO occupandosi eventualmente della traduzione;
-
pubblicare e diffondere le
norme tecniche ed i prodotti editoriali ad esse correlati.
La commissione tecnica Attività
Professionali non regolamentate ha pubblicato la norma nazionale UNI
11644 in relazione alla figura del mediatore familiare.
La norma si prefigge lo scopo di
definire in modo adeguato ed univoco i riferimenti della figura
professionale di mediatore familiare, stabilendone altresì una
omogeneizzazione dei programmi di formazione promossi da enti pubblici
e/o privati, al fine di garantire un livello qualitativo di formazione e
garanzia dell'utenza nell'incontrare mediatori dotati di adeguata
professionalità e dei professionisti stessi
Recentemente la Legge nº 54 dell'8
febbraio 2006 modificando l'articolo 155 del Codice civile ha introdotto
alcuni importanti aspetti legali per la mediazione familiare con
l'introduzione dell'affido condiviso. Tale Legge, la prima in Italia
sull'argomento, è frutto dell'opera di mediazione del Prof. Marino
Maglietta, presidente dell'associazione "Crescere Insieme", che dal 1993
si occupa da un punto di vista giuridico delle tematiche legate alla
mediazione familiare e all'affido condiviso.
Benché la figura professionale del
mediatore familiare non sia regolamentata, esistono
alcuni corsi di
formazione riconosciuti da Regioni ed erogati da agenzie formative
accreditate, che rilasciano un attestato di qualifica professionale di
"Esperto Mediatore Familiare".
Alcune Regioni italiane, attraverso
lo strumento della Legge regionale, hanno istituito al proprio interno
(generalmente presso l'Assessorato di riferimento, ovvero quello alla
Politiche Sociali) alcuni elenchi di professionisti in possesso di
particolari caratteristiche.
Tali elenchi sono stati dichiarati
illegittimi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 131/2010, in
quanto "in contrasto con il principio fondamentale in materia di
regolamento delle professioni, in base al quale spetta esclusivamente
allo Stato l'individuazione delle figure professionali con i e relativi
profili e titoli abilitanti”.
Tali elenchi sono tuttavia da non
confondere con Albi o Ordini Professionali, che presentano criteri
diversi e più rigorosi per l'accesso, in quanto la Mediazione Familiare
rimane, appunto, una professione non regolamentata.
Secondo l’ autorevole opinione del
costituzionalista Costantino Mortati il principio democratico sancito
dalla Costituzione ben si adatta alla mediazione familiare perché essa
mira a ripristinare la democraticità in seno alla famiglia, a tutelare
ogni persona della famiglia stessa ed in particolare i soggetti più
deboli.
Secondo il dettato costituzionale
il ricorso all’ intervento mediativo deve essere frutto di una scelta
consapevole di una famiglia in crisi; il mediatore aiuterà a recuperare
la propria progettualità attraverso la consapevolezza del proprio potere
di intervento sulla realtà circostante sia pure nella metamorfosi
generata dalla crisi.
Che la mediazione sia a sostegno
della genitorialità è sottolineato anche dall’ art. 30 della Cost.(I e
II co. “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i
figli. Nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano
assolti i loro compiti”) quando parla di funzione educativa, intesa
anche come servizio di educazione dei genitori,
Infine il giurista si avvale dell’
art. 32 della Cost.(“la Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività”) per considerare
la mediazione come mezzo di tutela della salute perché aiuta a prevenire
o attenuare alcune patologie di cui possono soffrire i minori proprio a
seguito della separazione dei genitori.
La coppia che si separa può essere
paragonata ad un puzzle dal quale se ne possono ricavare due altrettanto
finiti anche se in questo momento i clienti vedono solo delle tessere
mischiate. Quando può essere utile la mediazione familiare?
La mediazione familiare può
essere utile:
-
in tutti quei casi dove i
coniugi non riescono più a comunicare in modo efficace o a sostenere
un dialogo. Spesso le discussioni sono troppo cariche di emozioni e
sentimenti di accusa e avvengono in modo veloce e furibondo. In
questo modo diventa impossibile metterli d’accordo anche per le
questioni più semplici, per esempio a chi andrà il vaso regalato
dalla zia;
-
quando la coppia non riesce a
raggiungere un’intesa sulla separazione dei beni o sull’importo
dell’assegno di mantenimento;
-
quando non si riesce proprio a
mettersi d’accordo tra ex-partner sull’organizzazione della vita
quotidiana dei figli, la scuola, il tempo libero, le spese ordinarie
e straordinarie;
-
quando la coppia è immersa in
un percorso giudiziario interminabile che la sta sfiancando
moralmente ed economicamente;
-
quando uno dei due o entrambi
stanno formando una nuova famiglia e non trovano la modalità più
indolore per comunicarlo ai figli.
La mediazione familiare può
non funzionare:
-
se uno dei due è soggetto a
forme di dipendenza (droghe, alcool, gioco d’azzardo) che precludono
la negoziazione di un accordo equo;
-
quando non si è ancora del
tutto rinunciato alla possibilità di tornare insieme;
-
se ci sono ancora in corso dei
procedimenti giudiziali (denunce, querele, ecc…);
-
se uno dei due assume un
comportamento violento che va oltre i normali litigi.
Quali sono le fasi della
mediazione familiare?
Le fasi della mediazione familiare
si articolano in questo modo:
-
se i componenti la coppia hanno
già maturato la decisione di separarsi, possono, in modo volontario,
scegliere il mediatore familiare tramite i siti internet delle
principali associazioni nazionali. Le più rappresentative sono
iscritte in un apposito elenco depositato presso il Ministero dello
Sviluppo Economico e sono A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori
Familiari), A.I.M.S. (Associazione Internazionale Mediatori
Sistemici) e S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari);
-
il mediatore incontrerà la
coppia, la mediazione familiare non può funzionare con uno solo. La
prima volta chiederà alcune informazioni utili, anagrafiche e
logistiche sulla vita della coppia. Per esempio se vivono ancora
assieme, se i loro figli abitano con loro e la loro situazione
economica e lavorativa;
-
la coppia espone quali sono le
questioni su cui vuole raggiungere gli accordi. Potranno essere
trattati aspetti economici (come discutere l’importo dell’assegno di
mantenimento) e logistici (per esempio sulla gestione e i turni di
cura dei figli). Gli argomenti scelti da entrambi verranno inseriti
nel contratto di adesione al percorso della mediazione familiare;
-
il mediatore familiare guiderà
entrambi nell’elaborare le modalità per risolvere i problemi
sollevati, non decidendo lui per loro, ma incoraggiandoli a trovare
delle soluzioni, grazie a strumenti di comunicazione e negoziazione;
-
la svolta, di solito, avviene
quando, superata la rabbia che non li fa schiodare dalle rispettive
posizioni, entrambi si concentreranno sulle possibilità che saranno
più vantaggiose per il “sistema famiglia”;
-
infine si procederà alla
stesura dell’accordo redatto dal mediatore familiare contenente
dettagliatamente le opzioni concordate (l’importo dell’assegno di
mantenimento, i turni di visita, i weekend coi figli, le vacanze
natalizie, ecc…). La revisione di esso avverrà presso i rispettivi
avvocati e sarà poi depositato al giudice che, non riscontrando
irregolarità, lo convaliderà. Questo significa che avrà a tutti gli
effetti valenza giuridica.
Quali sono i vantaggi per chi
decide di avvalersi della mediazione familiare?
Chi decide di portare a termine la
mediazione familiare, in genere dopo 10-12 incontri, probabilmente avrà
raggiunto gli accordi di separazione o divorzio su cui non riusciva in
modo autonomo a trovare dei punti d’incontro con l’ex partner e questo è
sicuramente il beneficio principale. Inoltre spesso i due componenti la
coppia riprendono finalmente a comunicare in modo sano ed equilibrato,
cosa che permetterà loro nel futuro di prendere le decisioni in modo
comune su tutto quello che riguarda la vita di eventuali figli. Il tutto
condito anche da un risparmio economico, in quanto il percorso della
mediazione familiare costa molto meno rispetto a quello giudiziario. Ma
soprattutto i membri della coppia in separazione si garantiscono così un
ruolo di protagonisti attivi nel processo di separazione, senza subire
passivamente le decisioni prese da un’autorità superiore come quella
giudiziaria.
-
CHE
COS’E’ LA FAMIGLIA
E’ pensiero ricorrente affermare
che l’unica famiglia è quella con mamma e papà; diventa quindi
fondamentale comprendere che cos’è la famiglia per gli italiani. Nel
1948 la Costituzione riconosceva la famiglia come “società naturale
fondata sul matrimonio” (art 29). La definizione, tuttora presente nella
Costituzione nasconde una contraddizione formale: definisce la famiglia
come società naturale e poi ne appoggia il suo fondamento ad
un’istituzione giuridica, come il matrimonio e non ad un processo
naturale.
Questa contraddizione, riconosciuta
da molti giuristi, ci è utile per comprendere quanto fosse difficile già
nel 1948, fornire una definizione univoca e chiara di famiglia.
Ancora di più oggi non esiste una
definizione di famiglia universalmente riconosciuta: giuridicamente,
esiste un “modello” di famiglia che è quello della famiglia prima delle
grandi riforme sociali, prima della legge sul divorzio (padre madre,
uniti in matrimonio e i figli da loro generati) e poi esistono molti
“casi particolari” ed “eccezioni” che vengono giuridicamente e
socialmente assimilati nel funzionamento alla famiglia ma non sono
pienamente riconosciuti come famiglie.
Ma come intendiamo la famiglia, noi
italiani? Che tipo di rappresentazione ne abbiamo? Esiste ancora in
ognuno di noi l’idea di una famiglia “con mamma e papà” e di una serie
di eccezioni, di modelli divergenti, di “semi-famiglie” o consideriamo
che esistano diversi modi di fare famiglia a cui diamo pari dignità e
valore? Ha ancora senso parlare di famiglia: esiste ancora qualcosa di
peculiare che contraddistingue questo concetto nella mente delle
persone?
Al fine di comprendere in modo più
chiaro come si organizza oggi il concetto di famiglia nella mente degli
italiani, il Centro Studi Famiglia ha organizzato una ricerca
intervistando diverse decine di persone e chiedendo loro di fornire una
definizione di famiglia. L’analisi delle risposte ha confermato
l’ipotesi: ognuno di noi ha una rappresentazione dell’organizzazione
della famiglia estremamente diversa.
Alcuni considerano che esista una
famiglia solo laddove sono presenti dei figli, altri danno valore di
famiglia anche alla relazione di coppia. Alcuni pensano che per parlare
di famiglia sia necessaria la convivenza tra un uomo e una donna, altri
no. Alcuni considerano la famiglia allargata, la dinastia e altri
includono nella famiglia gli animali domestici o addirittura le piante.
Quindi, possiamo tranquillamente
affermare che nella mente degli Italiani, la famiglia naturale, quella
con mamma e papà non è più il modello prevalente: esistono moltissimi e
diversissimi modi di intendere la famiglia, tutti con pari dignità.
Ciò che è apparso in modo chiaro ed
inaspettato dall’analisi delle interviste è, invece, la presenza di un
grandissimo consenso rispetto alle funzioni della famiglia, alla sua
rappresentazione affettiva. Tutti gli intervistati descrivono la
famiglia come un luogo positivo, fondamentale per gli affetti che lì si
sviluppano, per l’intensità delle relazioni presenti, per i legami
profondi e per la sua funzione di protezione reciproca.
Alcuni esempi di verbalizzazioni
possono aiutare a capire cosa intendo: “La famiglia è un luogo in cui ci
si sente protetti, è casa, è il posto dove puoi trovare il calore di un
abbraccio, un posto dove le persone si vogliono bene, anche se a volte
litigano E’ il luogo dell’amore incondizionato nei confronti di persone
che hai scelto. E’ la forza del gruppo che ti permette di andare avanti
e superare le difficoltà”.
Quindi, se nella mente delle
persone l’organizzazione concreta della famiglia si declina in modo
molto diverso a seconda dei modelli culturali e religiosi, la funzione
affettiva della famiglia sembra essere riconosciuta in modo simile,
universalmente. Tutti pensiamo che la famiglia ci protegga, ci accolga e
sia il luogo in cui si sviluppano legami fondamentali per la nostra
vita. La famiglia, in sostanza, non è necessariamente formata da un
padre e una madre ma resta comunque il luogo della protezione, dove si
formano legami profondi e continuativi.
Come ha teorizzato Bowlby nel 1969,
legame e protezione sono le caratteristiche più importanti della
funzione di attaccamento: ogni mammifero, per predisposizione biologica
tende, fin dai primi mesi, a stabilire dei legami rassicuranti con chi
si prende cura di lui e a ricercare in questa figura, protezione.
Dal punto di vista etologico,
questi legami favoriscono la sopravvivenza della specie in quanto
permettono a noi mammiferi di essere protetti e di apprendere da chi ci
sta vicino, il nostro stile relazionale e sociale, il nostro modo di
stare insieme. Sembra quindi che la famiglia mantenga ancora oggi questo
ruolo importantissimo per l’uomo. E’ il luogo privilegiato del legame di
attaccamento, sia per i bambini che per gli adulti.
Alla luce di queste osservazioni
l’idea che un simile legame possa svilupparsi soltanto all’interno di un
nucleo creato da un uomo e da una donna appare, sinceramente, bizzarra.
Basta rievocare gli esperimenti di Konrad Lorenz sull’imprinting, quando
lui stesso si trovava a venire riconosciuto come oggetto di attaccamento
dai piccoli di anatra dopo essersi preso cura di loro alla nascita. Per
comprendere che ciò che qualifica la famiglia non è la rappresentazione
iconica del padre e della madre ma la cura reciproca e il naturale
legame di attaccamento.
Quindi, qualora ci trovassimo
costretti a giudicare se una coppia o un gruppo di individui possa o
meno essere definito “famiglia”, non possiamo più in alcun modo
riferirci alla sua organizzazione, al sesso dei suoi membri o al modo in
cui si è stabilito il vincolo. Possiamo forse meglio rispondere al
quesito valutando se sono presenti dei legami di protezione e di cura
reciproca, ovvero cercando di capire se i membri di quella coppia, di
quel gruppo di persone si proteggono reciprocamente e, nella sostanza,
si vogliono bene.
Il legame che si crea dalla
famiglia va ben oltre a quella del padre e della madre : Esistono i
nonni , gli zii, le zie, i cugini, le cugine , le moglie e mariti degli
zii e i parenti lontani. Possiamo parlare di famiglia allargata? E’
sempre esistita la famiglia allargata e potrei dire che nessuno ha mai
avuto modo di sentirsi solo. I figli sono figli di tutti e non vi erano
confini
Il concetto di famiglia, in fondo,
non è altro che questo: la sicurezza che a qualunque ora tornerai a
casa, ti aspetteranno per cena. E questa sicurezza non ha legami di
sangue, non ha genere.
Quanto prima capiamo che dobbiamo
rendere fluido, espandibile, il concetto di famiglia, tanto prima
costruiremo un muro di relazioni che potrà essere l'unica difesa contro
la bestia più feroce della contemporaneità,”il mostro della solitudine”,
che, tra l'altro, ci rende deboli politicamente, sconnessi socialmente,
emotivamente malati.
In un mondo così, chi ha il
coraggio di non accettare la potenza di una verità così semplice, e cioè
che tutti possono essere famiglia?
La famiglia provvede a
svariate funzioni sociali:
-
Funzione emotiva -affettiva.
-
Funzione assistenziale, di cura
e di sostegno nelle avversità fisiche e psicologiche.
-
Funzione educativa.
-
Funzione riproduttiva. ...
-
Funzione economica. ...
-
Funzione di protezione dai
pericoli esterni.
-
Funzione socializzante. ...
-
Funzione etica e religiosa.
-
Pilastro portante della società
-
Culla dell’identità
-
Strumento di mediazione tra il
bambino e la società
La famiglia infatti, se funzionale,
riesce ad assolvere a numerose ed importanti funzioni a favore della
società è viceversa. E’ possibile, ma non è affatto conveniente, come
spesso si vorrebbe e si è tentato di fare, rompere questo intimo
sodalizio tra famiglia e società, in quanto se paragoniamo le famiglie
alle cellule di un individuo, così come le cellule hanno bisogno
dell’intero organismo per vivere, anche l’organismo ha bisogno delle
cellule per la sua salute e per la sua sopravvivenza. Pertanto se la
famiglia, ogni famiglia, ha bisogno della società, questa, a sua volta,
non può fare a meno delle famiglie.
-
TIROCINIO
CASO POSITIVO
1° Incontro
Accolgo i clienti e presentandomi
ascolto le loro richieste per comprendere di cosa avessero bisogno. Una
mediatrice o un counselor: succede spesso che coppie arrivino e chiedono
qualcosa di diverso da quello che pensavano. Li chiamerò per convenzione
Paola di 28 anni e Francesco di 32. Sono già separati, hanno due bimbi,
una di 3 l’altro di 5 anni, ognuno ha la propria abitazione ed hanno già
un piano regolarizzato dal giudice sulla gestione del tempo e la quota
di mantenimento dei loro due figli.
Mi trovo sorpresa nel sapere che
Francesco fornisce una quota in denaro anche a Paola anche se non è
tenuto a farlo, ma subito non voglio sapere il motivo: lo avrei capito
in seguito. Non mi appartiene il non indagare ulteriormente in casi come
questo, ma in questo caso ho sentito che non era il caso di intervenire
ed è stato molto utile. Sono fiera di me per essere stata capace di
attendere i tempi dei clienti!
Mi chiedono di modificare gli orari
e i giorni in quanto le cose tra loro genitori erano un po’ cambiate,
migliorate se vogliamo, e il padre necessitava di vederli di più. Mi
chiedono inoltre di aiutarli nella loro modalità di comunicazione in
quanto la madre sosteneva che i bambini quando erano con il padre o alla
notte facevano brutti sogni o erano di cattivo umore.
Mi accerto se mi è possibile
modificare una sentenza del giudice anche perché loro mi comunicano che
non hanno intenzione di comunicarlo all’avvocato e né tanto meno al
giudice. Ne chiedo la motivazione e la risposta è che avevano capito che
quella modalità burocratica era davvero limitata e, a loro parere,
ingiusta in quanto , soprattutto il padre , non si era sentito né
ascoltato e né capito.
Nel frattempo, avendo compreso che
era un caso da mediazione, comunico loro il mio ruolo sostenendo che è
un’opportunità in quanto nel momento in cui sarebbero uscite emozioni,
dubbi, incertezze, dissensi, cambio di idea o quant’altro, si sarebbe
potuto affrontarle e soffermarci, cosa che in un tribunale non sarebbe
così scontato, confermando così quello che avevano già espresso.
Comunico altre piccole regole ,
quella di parlare rivolgendosi a me e non sovrapporsi, spiegandone anche
il motivo e cioè per evitare di portare avanti una modalità che si era
inserita tra loro e che, appunto, permetteva una cattiva comunicazione e
comunicando tramite me avrebbero avuto la possibilità di ascoltarsi e
vedersi in modo diverso; la riservatezza di tutto quello che avrebbero
detto non sarebbe uscito dalla sede; se ci fosse stata la necessità ci
sarebbero stati degli incontri individuali; alla fine della mediazione
se richiesto avrei lasciato l’accordo scritto.
Comunico che non sono in possesso
ancora dell’abilitazione di mediatrice ma che la struttura dove sto
operando e la scuola che frequento mi tutela e mi concede la possibilità
ugualmente di operare, in quanto tirocinante. Probabilmente l’empatia è
scattata e mi rispondono che a loro va bene e che sono disposti ad
intraprendere questo percorso.
Faccio firmare un documento che
attesta quanto sopra.
Comunico inoltre che sono in
possesso dell’abilitazione di counselor e spiegando la funzione della
professione mi rispondono che si sentono ancora più al sicuro e
tutelati. La madre mi comunica che molte volte non riesce a parlare col
padre in quanto ha timore delle sue reazioni e quindi mi chiede di
aiutarla.
2° Incontro
Mi arrivano con il planing
settimanale da modificare ed è evidente che il padre è molto penalizzato
ed è anche evidente che agevolarlo non fu la priorità del giudice.
Mi informo su quale sia stato il
motivo di tale scelta da parte del giudice e Paola mi comunica che ci
sono stati episodi di litigio e prese di posizioni da parte dell’ex
marito e che, non trovando un accordo, venne proposto tale planing in
modo perentorio ed indiscutibile.
Che cosa è cambiato da allora?
Fanno parte di un gruppo di chiesa
e negli incontri tra i loro componenti, ne parlano e discutono e nel
tempo si ammorbidisce la relazione.
Chiedo quali sono stati i conflitti
che non hanno permesso una buona relazione e Paola inizia a raccontare
che, quando rimase incinta del secondo figlio, Francesco incominciò a
manifestare atteggiamenti insofferenti al punto che se ne andò di casa,
ebbe un amante e quando Paola partorì lui andò in ospedale ma si
messaggiava continuamente con la sua amante.
Dice inoltre che il carattere di
Francesco era rissoso e scostante e che ha vissuto episodi pesanti
precedentemente e ne racconta un paio. All’epoca aspettò che Francesco
ritornasse a casa con i loro figli ma questo non accadde.
Paola chiede pertanto la
separazione e Francesco incomincia a pentirsi e a rivolere la sua
famiglia ma per Paola qualcosa era morto dentro e non volle ritornare
indietro sui suoi passi.
Mentre Paola racconta Francesco
esordisce dicendo che non smetterà mai di lottare per far ritornare
Paola con i bambini da lui e che una seconda chance la merita
Quali sono le motivazioni per
meritare la seconda chance?
Perché sono cambiato, perché ho
capito i miei errori, perché ho capito il valore di Paola, quello che
pensavo fossero difetti sono pregi, perché anche lei ha un caratterino e
non è facile e questo caratterino mi piace.
Paola conferma che è migliorato ma
lei lo teme ed è impaurita dalle reazioni passate e secondo lei sono
ancora presenti in lui e i bambini quando stanno con lui e ritornano a
casa raccontano che alla notte hanno avuto incubi
Mi trovo di fronte a qualcosa di
inaspettato per me. Francesco è innamorato ancora di Paola e vorrebbe
riunire la sua famiglia.
Propongo un incontro individuale
con ciascuno dei due, in quanto ritengo necessario approfondire.
1° Incontro individuale con
Paola
Incominciamo riprendendo quanto
aveva detto Francesco e la mia domanda è se Paola sia interessata ancora
alla relazione di coppia con Francesco. Lei mi risponde assolutamente di
no, non si fida, ne ha passate molte e secondo lei Francesco non ha
nemmeno un atteggiamento di essere davvero pentito e nemmeno di scuse.
Mi racconta altri episodi e mi
rendo conto che Francesco è in uno stato di sofferenza con se stesso e
che sarebbe utile per lui un buon percorso personale.
Paola malgrado tutto è molto
disponibile, ha una situazione interiore equilibrata, una famiglia alle
spalle protettiva e molto benevola nei suoi confronti, una buona
relazione con la sorella e i conflitti che Francesco portava nella sua
vita, per lei sono incomprensibili e inaccettabili, soprattutto per i
suoi figli.
Mi rendo conto che vive in una
“bolla” poco consona alla realtà ed è poco abile a gestire i conflitti e
molto probabilmente anche i suoi interiori, perché è chiaro che lei non
ne è esente.
Ha lasciato gli studi per fare la
mamma ma anche perché Francesco non voleva che continuasse. Vuole
riprendere a studiare!
Si crea una bella relazione tra me
e Paola, si lascia andare nel raccontare fatti molto intimi, ma non
comprendendo molto il perché, intuisco che una parte di Paola è ancora
interessata a Francesco e chiudo l’incontro con una silenziosa domanda a
me stessa: ma come posso avere questa sensazione? Lei è stata molto
chiara e, sinceramente, fossi al suo posto, Francesco non lo vorrei
nemmeno io.
Chiedo se posso, qualora fosse
utile, parlare con lui presente. Mi chiede di non toccare l’argomento
violenze verbali e fisiche, perché non vuole vedere più le sue reazioni
e non ammissioni.
1° incontro individuale con
Francesco
Francesco è un ragazzo molto
diretto e schietto ed emerge subito la sua rabbia e aggressività: è
parecchio sulla difensiva, mi comunica che sta facendo un percorso con
un professionista e questo mi rassicura.
Tanti suoi problemi provengono
dalla sua famiglia. Uno zio definito un po’ pazzo e pare che lui gli
assomigli parecchio. Un’etichetta addossatagli, la madre molto
controllatrice e poco affettuosa, ricerca la perfezione quando lei ne è
il contrario, il padre per lui è una figura poco chiara, il ruolo non è
definito, relazione poco empatica ed intima, ricorda poco di lui di
quando era bambino, dice che è stato una figura evanescente.
Mi parla di come non è stato facile
stare nella famiglia di Paola: tutti molto uniti e per bene. Si sentiva
sempre un po’ fuori luogo, la sua famiglia è molto diversa,
conflittuale, una madre in modalità controllo tutto io e lo zio un po’
fuori di testa. La famiglia di Paola compensava in parte quello che non
aveva avuto.
Tuttavia Paola, secondo Francesco,
viveva in una bolla tutta sua ed era difficile per lei accettare modi
diversi di comunicare. Quello di Francesco era un modo irruento,
diretto, scontroso anche, quello di Paola invece pacato, mai nessun
conflitto, litigata o alzata di voce.
Mi confessa nuovamente che Paola è
la donna della sua vita, non l’aveva capito prima e che anche quella
“testaccia dura” che si trovava a lui piaceva e che avrebbe fatto di
tutto per riavere il suo matrimonio. Chiedo se prende in considerazione
che ciò possa non avvenire, mi risponde con un sorriso dicendomi che non
gli interessa.
Chiedo anche a lui se posso parlare
di quello che è emerso nel nostro colloquio mi dice che non ci sono
problemi.
Ritorniamo ai colloqui in coppia e,
apparentemente, sembra essere migliorato il clima, c’è più cordialità
tra loro e sono rilassati; affrontiamo finalmente l’argomento figli e
costruiamo insieme un nuovo planing sulla gestione dei tempi da
aggiungere a favore di Francesco.
Paola è disponibile ma non è
tranquilla, Francesco ha davvero una modalità possessiva e pretenziosa,
si rompe in breve tempo una sorta di armonia che si era creata. Li
ascolto e li lascio confliggere fino a che loro si accorgono del mio
silenzio e si bloccano sfoderandomi una parvenza di sorriso che fa
intendere: “non si può fare”.
Chiedo se sanno che cosa stava
succedendo tra loro. Rispondono: è lui che mi provoca, è lei che ha
sempre un atteggiamento diffidente, ecc.
Intervengo dichiarando che mi sarei
presa uno spazio tutto per me e che avrei gradito un ascolto senza
interventi e incomincio a comunicare che quello che accade tra di loro è
solo per il fatto che continuano a vedersi come coppia, quello che sono
stati e quello che hanno creato intorno a loro, continuano ad emergere
dolori, incomprensioni, rabbie, vendette, posizioni diverse.
Per potersi togliere da questa
modalità ci sono due vie, la prima è quella di andare a fare un percorso
personale per risolvere tutte le problematiche che si portano dentro
inerenti la coppia. La seconda è che incomincino a vedersi come una
coppia di genitori e chiedersi che tipo di genitori vogliono essere,
tutto ciò che vi portate dentro è utile per i vostri figli? Li invito a
togliere lo sguardo da come vedono l’altro in funzione di quello che
hanno vissuto e a provare a vedere se l’altro è una buona madre, o se è
un buon padre e incominciare a lavorare su quello che va bene e su
quello che deve essere migliorato. Trovare punti di incontro per il tipo
di educazione che vogliono dare, come rapportarsi ai propri figli senza
creargli conflitti perché non c’è accordo tra i genitori. Insomma
puntare sui figli, sul loro bene e semmai puntare su di una buona
qualità come “coppia di genitori”
Un silenzio di tomba che dura 30
secondi , chiudo la sessione invitandoli a riflettere su quale via
vogliono intraprendere e dico che ne avremmo parlato la volta
successiva.
Quando ci rivediamo mi accolgono
con un abbraccio, tutti e due e per me è spiazzante, provo imbarazzo! Lo
dichiaro e mi sorridono, Paola mi chiede: perché mai? Lascio cadere la
risposta, non la so nemmeno io.
Iniziano col dichiararmi quello che
avevano deciso e cioè di percorrrere la seconda strada da me
prospettata: provare ad essere una “coppia di genitori “ possibilmente
di buona qualità.
Chiesi cosa ne avrebbero fatto di
tutto il resto e mi risposero che con quell’obiettivo sarebbero stati in
grado di fermarsi. Francesco dichiara che per lui è più difficile in
quanto vorrebbe la riconciliazione ma che ci vuole provare, lo invito a
farsi aiutare dal suo professionista.
Comunico che posso offrire degli
strumenti nel momento in cui accadrà che la coppia emerga, e questo
accadrà sicuramente in quanto ci vuole tempo per cambiare dinamiche,
modalità comportamentali. Tutto è molto più semplice quando si sceglie:
sembra banale ma basta ricordarsi quello che abbiamo scelto e la
consapevolezza di tutto ciò e uno strumento molto forte.
Francesco mi comunica che si è
preso un tempo di pausa con il suo professionista perché ritiene che,
con i nostri incontri , si trova a lavorare molto di più su se stesso, è
più produttivo, comunico che non posso interferire con il suo sentire e
che devo rispettarlo, ma che finita la nostra mediazione sarebbe stato
utile per lui riprendere.
Ci sono stati altri 5 incontri ,
non perché sia stato necessario, in quanto diventa veramente più
semplice lavorare insieme, ma loro mi chiedono di seguirli nel processo.
Mettiamo mano al planning, definiamo i turni nelle feste di natale,
lavoriamo sulla fiducia di Paola nei confronti di Francesco come padre e
sulle pretese aggressive di Francesco nei confronti di Paola come madre.
Poi ci occupiamo di definire la
gestione della scuola e di chi e come deve andare a prendere i bambini.
Francesco avanza la richiesta di lasciare i genitori di lei fuori da
questi accordi. Decidono infine che nel caso ijn cui Paola avesse avuto
impedimenti importanti che non le consentissero di andare a prendere i
bambini a scuola, allora la gestione della cosa sarebbe passata a
Francesco e solo nel caso di impossibilità da parte di entrambi si
sarebbe potuto ricorrere all’intervento dei genitori di lei.
La situazione finanziaria non è
particolarmente conflittuale. Non emergono divergenze, né rancori o
pretese da parte di entrambi. Dichiaro che la mediazione può
considerarsi conclusa, ci lasciamo soddisfatti del buon lavoro e in
buonissima empatia.
Non ho mai potuto verificare la mia
sensazione su Paola circa il fatto che Paola avrebbe voluto riprendere
la relazione con Francesco nonostante dicesse il contrario. Immagino sia
stata una mia proiezione su quello che avrei voluto io.
CASO NEGATIVO
Mi comunicano che mi è stata
assegnata una mediazione tra due persone provenienti dagli incontri con
le assistenti sociali e passate anche da altre due mie colleghe e il
direttore. Lo definiscono un caso complicato e bizzarro in quanto
“giocano” e secondo il direttore vogliono mantenere un contatto con il
consultorio senza voler risolvere davvero i loro conflitti.
Mi danno un po’ di fogli con le
varie relazioni ma comunico che non li voglio e non voglio sapere nulla
in quanto non voglio essere condizionata; accettano ma non di buon
grado.
Li chiamerò Giorgio di anni 42 e
Isabella di anni 32. Si sono conosciuti in un corso di tango e Giorgio
ne era l’insegnante, sono sposati da 7 anni ed hanno un figlio di 6
anni.
Sono lì perché Giorgio ha usato
violenze fisiche su Isabella e lei lo ha denunciato, la loro
comunicazione è fatta di continue accuse e battute su quello che fanno.
1° Incontro
Mi presento comunicando che sono
una counselor e sto eseguendo il tirocinio sulla mediazione familiare,
comunico che ci sono delle regole da rispettare ma che le esporrò quando
necessario, comunico che non ho voluto sapere nulla su di loro se non
informazioni base (nome, figli, piccolo accenno sulla problematica) per
non essere condizionata e che si troveranno a rispondere a mie domande
sicuramente già fatte. Accettano e incominciano, prima Isabella e poi
Giorgio, a raccontare la loro versione della storia.
Sono costretta a “starmene”, senza
intervenire molto, nelle loro diatribe verbali fatte di continue riprese
e svalutazioni varie. Lo scenario è triste e sconcertante ma ho poca
esperienza e inoltre sono confusa in quanto la professione del counselor
è diversa dall’approccio che un mediatore familiare deve avere. Li
lascio confliggere e in un attimo di tregua mi inserisco nel discorso
chiedendo a loro cosa si aspettano da me che da altri non hanno avuto.
Bella domanda, mi risponde Giorgio,
ma è Isabella che se lo deve chiedere perché è a lei che non va bene
nessuno e quando siamo nel clou di qualcosa lei scappa. Isabella
risponde immediatamente dicendo che lui non sta alle regole e crea
confusione continua e non se ne esce.
Domando a Isabella cosa vorrebbe
succedesse per sentirsi tranquilla e lei mi risponde che a questo punto
non lo sa proprio, che è stanca e iniziano nuovamente a confliggere
accusandosi l’uno verso l’altra.
Situazione estrema e penso devo
mediare… Ma cosa? E dove?
Chiedo a loro qual’è il conflitto
che crea più problemi e Isabella esordisce velocemente dicendo che
Giorgio continua a chiedere spostamenti del planing sulla gestione del
figlio. Interviene Giorgio che racconta di fare un lavoro dove deve
cogliere le occasioni lavorative di pausa e che la moglie lo sapeva
bene. Succede quindi che si trovi spesso a dover rivedere ciò che hanno
pattuito in precedenza. Isabella dice che non è disponibile ad
assecondare tutti questi cambiamenti dell’ultimo momento e che il
giudice ha stabilito così e cosi deve rimanere.
Ricomincia la loro modalità, lui è
pesante con le parole, lei si difende ma vedo che cerca di trattenersi.
Intravedo la paura di lei.
Sento il bisogno di trovarmi in
quello che so fare meglio, cioè la counselor anche perché capisco che ci
sono problematiche di coppia e propongo che inizierei con due o tre
incontri per lavorare un po’ su di loro usando strumenti di counseling e
la mia esperienza, sia di vita che professionale. Comunico che farò
firmare loro un documento dove si dichiara che, in caso la relazione lo
richiedesse, avrei usato tecniche di counseling.
Il mio scopo era di affrontare
argomenti staccati da se stessi. Argomenti quali quelli di venire a
conoscenza del perché le persone si incontrano e poi si perdono, da dove
nascono i conflitti, come funzioniamo e cosa succede se non ascoltiamo i
messaggi del nostro corpo e in generale. Comunico che la mia tesi finale
in Counseling è stata stesa sul raspporto tra spiritualità e counseling,
esprimendo che un aspetto non può esistere senza l’altro e che la mia
esperienza di vita mi ha insegnato l’utilità e la potenza di questa
lettura e che nelle mie sessioni la adopero spesso.
Non so se abbiano compreso bene ciò
che sto proponendo ma mi dicono che va bene e Isabella dice di sperare
che questa sia una buona novità. Comunico che la volta successiva
avremmo firmato un documento nel quale si attestava quanto avevamo
concordato assieme.
Prima di sottoporlo alla coppia,
faccio leggere il documento al direttore della mia scuola e lui mi dice
che va bene.
2° Incontro
Dichiaro che la volta precedente ci
siamo lasciati con una mia proposta che in qualche modo ha creato
un’aspettativa, Isabella dice che spera sia una buona novità. “Isabella
che buona novità le piacerebbe avere?”, chiedo io.
Mi risponde che non ne ha la più
pallida idea e che è da tanto tempo che non accade nulla di nuovo.
Interviene Giorgio con la sua modalità irruente e aggressiva, per cui
ribadisco le regole della mediazione, quale quella di non parlarsi
addosso e di comunicare con me e non tra di loro. Li invito a rispettare
le regole. Credo che siano riusciti ad attenersi alle regole per circa
20 minuti e solo perché, in quel lasso di tempo, o dato poco spazio a
loro e ho parlato più io.
Inizio spiegando loro che
solitamente i litigi nascono perché non siamo capaci di ascoltare
l’altro, nessuno in realtà ce lo ha insegnato e pochi hanno il dono
dell’ascolto. Questo comporta che spesso nelle relazioni ci troviamo a
portare avanti una modalità poco costruttiva. Non essere ascoltati vuol
dire non essere compresi e più ci sentiamo così, più la frustrazione
aumenta per poi arrivare a creare il conflitto.
Anche non essere capaci a dire ciò
che stiamo provando o sentendo, induce al litigio perché all’altro
portiamo la reazione a quello che proviamo nel momento in cui non ci
sentiamo capiti.
Ho la loro attenzione, ascoltano e
annuiscono; continuo ancora, affermando che per poter uscire fuori dal
litigio-conflitto il primo strumento è diventare consapevoli delle
modalità che ciascuno dei due attua per entrare in contrasto. Se siamo
consapevoli che non sappiamo ascoltare, non sappiano comunicare
all’altro ciò che sto provando o vivendo, qualcosa accade dentro di noi.
D. “Secondo voi che cosa accade?”
R. “Immagino che se non lo so fare
io, non lo saprà fare nemmeno l’altro”
D. “E cosa succede pensando in
questo modo?”
R. “Se penso solo io così è una
partita persa perché l’altro è convinto magari di sapere”
D. “Ma sei io sono consapevole e
comunico all’altro che se stiamo litigando è perché non sappiamo
ascoltare e nemmeno dire quello che viviamo davvero dentro, cosa può
succedere?
R.G. “Io lo faccio ma lei non lo
capisce, le spiego ma non ci sente”.
R. I. “Ma cosa vuoi spiegare che
pretendi solo?”
Invito a restare sul pensiero e a
non immaginarsi loro nella situazione.
Continuo a spiegare che questi tre
strumenti, ascolto, comunicazione efficace e consapevolezza, sono la
base per una buona comunicazione.
Tutti e due sono d’accordo e
soprattutto NON LITIGANO e sono interessati. Iniziano a fare domande
dicendomi che in fondo loro queste cose le sanno già e che però non gli
sono mai venute in mente e mi chiedono come sia potuto succedere,
secondo me…
Chiedo a loro di cercare le
risposte e rimando loro un feedback fenomenologico: appena uno inizia a
parlare, l’altro si infastidisce e si intromette. Chiedo se si accorgono
di quello che succede ogni volta che uno interviene, mi rispondono che
quando lui/lei parla allude a qualcosa sull’altro e questo è ciò che fa
scattare la reazione negativa.
Penso che i due elementi della
coppia si comportano proprio come due bambini e capisco la definizione
di “bizzarri” del direttore.
Provo simpatia e tenerezza e mi
viene spontaneo avere un atteggiamento scherzoso e guardandoli comunico
che la sessione è terminata, li invito a pensare su quello che è stato
detto e capire se sono interessati ad iniziare ad ascoltare e comunicare
e che la prossima volta avrei portato una bella “bombetta” per loro.
Ridono con me e Isabella mi dice
che non vede l’ora di capire cosa sia la “bombetta”.
La bombetta la uso nel momento in
cui o c’è la relazione o per rompere una modalità di presenza o per
provocare un po’, per arrivare al sodo. Solitamente funziona.
3° Incontro
Isabella mi comunica che ha
interrotto gli incontri con l’assistente sociale dicendole che si
trovava bene con me e la cosa mi spaventa molto in quanto sinceramente
non mi sento ancora così sicura da rimanere l’unico loro riferimento.
Intanto consegno loro il documento da firmare nel quale si dichiarava
che qualora fosse stato necessario ci sarebbero stai interventi di
counseling di coppia e che loro accettavano. (vedi allegato)
Chiedo se hanno pensato a quanto
detto la volta precedente e mi rispondono che lo hanno trovato molto
interessante, Isabella mi dice che forse si poteva fare qualcosa di
utile.
Mi chiede subito della “bombetta”
ed io, continuando con la modalità scherzosa della volta precedente,
chiedo loro di sedersi che oggi ci sarei andata giù pesante.
D. “E se la modalità che avete nei
confronti degli altri, fosse la modalità che usate con voi stessi?”.
Un lungo silenzio e Giorgio mi
chiede di spiegarmi meglio. Io rivolto a loro la domanda, chiedendo di
raccontarmi cosa hanno provato a livello corporeo e cosa hanno pensato
ascoltando la mia domanda.
Isabella mi risponde che ha provato
un pugno nello stomaco, Giorgio dice che ha percepito qualcosa di vero.
Approfondiamo queste loro
sensazioni e, magicamente, ne parlano senza LITIGARE, ognuno espone il
proprio pensiero tranquillamente.
Al che affermo che la relazione che
ognuno di noi ha con se stesso è quella che è in grado di sostenere con
l’altro. Se io non ascolto i miei disagi, le mie rabbie, le mie
sofferenze non posso pensare di essere in grado di ascoltare e capire
l’altro, se tratto male la mia parte emozionale più fragile non posso
trattare bene l’altro, se non vedo i miei bisogni non posso vedere
quelli dell’altro.
Le sessioni con loro le avevo
stabilite della durata di un’ora e non di un’ora e mezza come da
protocollo e questa è stata la prima volta che non ci sono stati scontri
tra loro. Sia Giorgio, sia Isabella vengono sommersi dai loro pensieri e
curiosità. Isabella comincia a chiamare Giorgio con un diminutivo
affettuoso ed io rimango sorpresa in quanto non me lo aspettavo.
Chiudendo la sessione chiedo come
si sentono. Giorgio risponde che sta molto bene e che è soddisfatto di
essere lì. Isabella dice che si sente tranquilla perché quello che
stiamo facendo non avrebbe avuto ripercussioni su di lei. Rispondo che
se vuole, avremo modo di approfondire questo concetto e lei mi risponde
che preferisce di no. Penso dunque di proporre, più avanti, incontri
individuali ma ora mi concentro sul continuare sulla strada intrapresa
poiché si iniziano a vedere i primi frutti e la fiducia si sta
consolidando.
Il giorno dopo mi chiama
l’assistente sociale comunicandomi che Isabella ha interrotto i loro
incontri e raccontandomi la sua motivazione. Mi chiede se è possibile
restare in contatto per collaborare sulla situazione. Rispondo che per
me va bene, fermo restando l’approvazione del direttore.
4° e 5° Incontro
Continuiamo ad approfondire anche
filosoficamente gli argomenti che emergono, provo a coinvolgerli
chiedendo se questa visione può aiutarli nella loro comunicazione e può
servire ad allentare le tensioni. Mi rispondono in modo vago e Isabella
cambia velocemente argomento. Mi chiede “Ma se tutto dipende dalla
relazione che ho con me stessa, come faccio a gestire l’altro, che a sua
volta non ha una buona relazione con se stesso?”.
Chiedo se hanno un pensiero in
proposito ma non emerge nulla e incominciano a confondersi. Così decido
di intervenire prendendo loro in esempio. Dico loro che se entrambi
vengono a conoscenza di questo, ognuno lavorerà su se stesso e, di
conseguenza, lo sguardo sull’altro si può ammorbidire, le accuse e le
modalità di scontro si possono allentare in quanto si sa che se uno mi
tratta male è perché lo fa con se stesso e viceversa se tratto male
posso dirmi che è il modo con cui tratto me.
Sembra complicato ma ha una sua
logica; si accende un po’ la comunicazione ma niente a che vedere con
quello che mi presentarono quando vennero la prima volta.
Domande e risposte fluiscono ed è
piacevole ascoltarli. Mi ricordo che sono venuti da me per una
mediazione e che quello che avevo proposto aveva l’obiettivo di
permettere che la comunicazione migliorasse per sistemare bene la
situazione planning del figlio.
Isabella vuole approfondire il
planning e incominciamo a scrivere giorni ed orari. Una volta terminato
si inceppano sulla richiesta di Giorgio di concedere delle modifiche
qualora ci sia la necessità
Rimango sorpresa nel constatare che
il papà tiene tutto il giorno il bambino mentre la madre solo alla sera,
poi realizzo che lei lavora di giorno e lui alla sera, quindi ecco la
spiegazione del perché non vuole concedere cambi. Vede poco suo figlio
durante il giorno e non vuole privarsi di vederlo alla sera, pensai. In
realtà, oltre a questo, c’era evidentemente una posizione rigida nei
confronti del marito. Volano insulti e recriminazioni, anche pesanti.
Ormai la relazione in qualche modo tra noi si è costituita e pertanto mi
permetto di intervenire in modo poco professionale esordendo con: “Se
non la smettete vi butto un'altra bombetta”. Si mettono a ridere, in
realtà ridiamo insieme e a quel punto pretendono subito la provocazione
promessa.
D. “Ma se vi dicessi che siete
tutti intenti ad accusarvi, insultarvi ecc. ma in realtà l’altro è il
vostro specchio?”.
Isabella esordisce subito con un
“Io non sono come quello lì” e Giorgio invece dice “No, no, mi sa che è
vero”. Mi immagino che stia usando quella possibilità per andare contro
Isabella e cerco di spiegare bene il concetto. Racconto la storiella
dello zainetto davanti, quello degli altri, e il nostro dietro quindi
non potendolo vedere, siccome è difficile vedere i nostri difetti,
vediamo meglio quelli degli altri, quello che ci da fastidio nell’altro
in qualche modo ci appartiene, l’altro è lo strumento per la nostra
crescita.
Giorgio rinforza la sua modalità e
incomincia a fare domande per capire meglio il concetto. Isabella invece
si chiude in un totale silenzio.
Due giorni dopo ricevo una mail
dove mi comunicano che i nostri incontri si fermavano qui.
Dove ho sbagliato?
Non ho preso in considerazione in
modo serio il terrore che Isabella nutriva per Giorgio e quell’argomento
era troppo pericoloso per lei? Giorgio avrebbe usato quello strumento
per andarle ulteriormente contro? Col senno del poi mi sono immaginata
cosa può aver visto Isabella con una cosa del genere da gestire o solo
anche da prendere in considerazione. Sarei scappata anch’io
probabilmente. Mi sono lasciata prendere dal buon esito di quelle
conversazioni propedeutiche poi per affrontare la mediazione e ho perso
di vista Isabella anche se messaggi me ne aveva lanciati.
In effetti avevano lo stesso
atteggiamento di affrontare i conflitti, le liti. Ognuno stava sulle
proprie posizioni e si accusavano a vicenda. Lei era convinta che lui
fosse geloso per la sua formazione di studio e lui convinto che lei si
sentisse inferiore per le donne che giravano intorno a lui.
Dopo una settimana arriva una mail
di richiesta ripresa colloqui con le scuse per la mail precedente, ma il
direttore vuole prendere tempo e comunica loro che per ora non è
possibile farlo e che ne avremmo potuto riparlare in un secondo tempo.
Ora, con più esperienza, avrei
indirizzato le loro diatribe, conflitti, indiscipline ad una scelta. Se
volevano continuare in quel modo la mediazione non poteva funzionare,
quindi si chiudeva oppure si sarebbe dovuto puntare sul loro essere
genitori e quindi lavorare sulla coppia genitoriale, anche perché questo
è il ruolo effettivo della mediatrice.
Caso in essere
Una coppia viene nel mio studio e
chiede di essere aiutata a capire se loro possono ancor stare insieme o
devono iniziare una separazione.
Carla è spagnola di 45 anni e
Pietro è ligure di 50 anni; si sono conosciuti ad una mostra navale e di
cui Pietro è un rappresentante..
Fu un colpo di fulmine, attrazione
fisica fortissima e la loro storia ebbe inizio. Dopo 6 mesi Carla rimase
incinta e decisero di tenere il bimbo anche se si conoscevano da
pochissimo tempo. Pietro le disse che non era preoccupato perché, anche
fosse andata male la loro relazione, lui sarebbe stato tranquillo in
quanto Carla sarebbe stata una buona madre ricca di valori.
Facciamo un percorso di 4 incontri
di counseling di coppia e li trovo in continua reattività, disinnamorati
e in perenne conflitto.
Carla è “distrutta
psicologicamente” dalle continue richieste di Pietro di cercarsi un
lavoro, offendendola e svalutandola. Nell’incontro individuale con Carla
emerge che quando rimase incinta, si trovò in una situazione nuova che
non era in grado di gestire. Tutte la sue energie andarono per
affrontare l’essere madre e il desiderio di essere la “migliore delle
madri” e incominciò anche a negarsi sessualmente.
Passarono gli anni e Pietro dopo
tre anni dalla nascita della bimba iniziò a pressarla perché lei si
trovasse un lavoro. Da allora trascorsero 5 anni estenuanti per Carla
col risultato che ora lo odia e non lo sopporta più.
Pietro, dal canto suo, non riusciva
a capire che cosa stesse succedendo e incominciò a leggere il
comportamento di Carla come un approfittarsi di lui. Entrò in reazione e
questo a sua volta creò reazioni a Carla: vissero 5 anni in reattività.
Alla fine del 4° incontro
dichiariamo che restare insieme è davvero difficile ed è troppo tardi
per recuperare: ne avrebbe subito le conseguenze la figlia. Carla ha un
carattere molto impulsivo e si sofferma poco con se stessa. Lavoriamo un
po’ su questa modalità ma Carla ama essere così, le piace anche se
comprende che può creare dei problemi.
Le chiedo se può prendere in
considerazione che questo atteggiamento sia poco costruttivo per la
comunicazione e mi risponde che lei ha cercato in tutti i modi di
comunicare a Pietro che non voleva approfittarsene ma lui ha continuato
a pensarla nello stesso modo.
Mi chiedono di aiutarli nel gestire
la separazione, i tempi, le priorità e come comunicare alla bimba la
decisione.
Alla mia domanda, se avessero
compreso o se si fossero fatti un idea su cosa fu a portare la loro
relazione a questi livelli, dichiarano ambedue che si sono scoperti
superficiali. In realtà non si sono mai posti il problema di chiedersi
cosa vogliano da una relazione, di cosa abbiano bisogno, cosa sia più
importante per loro e che tipo di compagna/o sia necessario per poter
stare bene.
Comunico che mi sarei informata se
avessi potuto fare la mediazione in quando erano venuti per un percorso
di coppia. Mi supplicano di poter continuare con me in quanto la loro
fiducia e stima nei miei confronti è ormai consolidata e, trovandosi
bene, si sentono al sicuro.
Mi informai e li presi in carico in
mediazione
1° e 2° Incontro di mediazione
Comunico loro tutto quello che è
necessario per comprendere che cosa sia la mediazione. Mi soffermo a
lungo in quanto devono avere ben chiara la differenza tra il colloquio
di counseling e la mediazione familiare. Sapevo che non sarebbe stato
facile e che sarebbero caduti ancora nella dinamica della coppia ma
questo avviene anche in casi di separazione già avvenuta.
Comunico in modo deciso e assertivo
che il lavoro sarebbe stato fatto sulla coppia genitoriale e che si
sarebbero dovuti impegnare a contenere i loro atteggiamenti reciproci in
quanto, in quel modo, la mediazione non avrebbe funzionato.
Iniziamo con gli argomenti che loro
mi indicano come prioritari. La prima cosa importante è che Carla trovi
un lavoro così Pietro potrà calmare la sua tensione e creare un ambiente
sereno per poi iniziare a preparare la bambina alla separazione di mamma
e papà.
Nonostante Carla sia d’accordo
Pietro continuerà a insidiarla con messaggini del tipo: “hai telefonato
ai numeri che ti ho dato? Perché non hai ancora telefonato? Hai mandato
cv in giro?”
Dobbiamo soffermarci ancora su
queste diatribe. Ascolto ancora la frustrazione di Carla e sto con lei.
Mi rivolgo a Pietro chiedendo: “che cosa non ti permette di abbandonare
questa modalità insistente? Abbiamo osservato le dinamiche di questa
relazione, il mio lavoro la vostra pazienza e il tempo sono dei buoni
alleati. Risponde che fa fatica a dare fiducia a Carla.
D. “di che cosa avresti bisogno per
recuperare la fiducia in lei?”
R. “dovrei vederla attiva e
impegnata nel cercarsi un lavoro”.
Carla è insofferente ma non dice
nulla”.
Alla fine del secondo incontro
Pietro, anche se precedentemente aveva chiesto scusa, rilancia la
proposta che Carla, appena avesse trovato un lavoro, si sarebbe dovuta
trovare anche un appartamento. Lui vorrebbe una casettina con giardino
per la figlia che lo desidera e, con i soldi dell’affitto della casa
dove vivono ora, potrebbe mantenere tranquillamente la bimba e aiutare
Carla qualora fosse in difficoltà.
Mi sembra una buona proposta ma
Carla esplode e urlando dice: “o mi dai il tempo di cui ho bisogno per
il lavoro e la casa, senza più tediarmi, o vado da un avvocato. Si
rivolge a me dicendomi che lui la vorrebbe “sbattere fuori da quella
casa” mentre lei vorrebbe restare con la bambina per tutto il tempo che
le serve. “Non è detto che ciò possa avvenire anche se io trovassi un
lavoro” dice!. Continua esponendo che lei è sola, non ha famiglia qui
dove vive e che non possiede nulla. La voglia di tornare al suo paese
con la bimba è grande ma capisce che non lo può fare perché il legame
tra il padre e la figlia è forte e le arrecherebbe del danno. Inoltre,
continua, è possibile che dopo 10 anni insieme mi debba trattare così?
Sono la madre di sua figlia!
Concludiamo che ne avremmo parlato
la volta successiva.
Pietro due giorni dopo mi telefona
e mi chiede un appuntamento per un consiglio. Mi dice che Carla ha
deciso di andare dall’avvocato e che sospende la mediazione. Mi chiede
che cosa sarebbe successo e lo invito ad interpellare un legale per
avere risposte appropriate e documentate.
Posso però comunicare l’iter di
quando si affronta quella via ed è: molte spese di avvocati, atti
giudiziari, tempi lunghi; inoltre i giudici, oberati di lavoro, sono
sbrigativi e poco disponibili ad ascoltare le diatribe e le reciproche
posizioni. Le sentenze rimangono così poco soddisfacenti creando, a
parere delle coppie, delle ingiustizie. Il rischio infine è che, se
continuate a litigare, il giudice possa fare intervenire gli assistenti
sociali per tutelare la bimba e verificare se l’ambiente dove vive sia
sano.
Ci lasciamo con la sua proposta di
convincere Carla a ritornare in mediazione e con la promessa di non
tediarla più concedendole il tempo necessario. Comunico che alla fine
della mediazione l’accordo verrà scritto ed avrà un valore qualora venga
usato.
Esco pensando che per poter usare
il buon senso a volte le persone devono trovarsi alle strette e mettere
da parte orgoglio e posizioni. Pietro finalmente realizza cosa comporta
la sua modalità.
3° Incontro
Arriva Carla 5 minuti prima di
Pietro e aspettandolo le chiedo come sta e come fosse riuscita a calmare
la sua ira espressa l’ultima volta. Mi risponde, col suo accento
spagnolo che trovo molto simpatico, dicendo che lei è fatta così, si
arrabbia ma poi le passa! Mi dice che Pietro le ha detto di prendersi
tutto il tempo necessario per trovare lavoro, che non ci sono problemi,
di restare nella casa con la bimba e che lui, non avendo possibilità
finanziarie per affittarsi un appartamento, resterà a casa con loro. Nel
frattempo arriva Pietro e chiedo come sta. Lui risponde bene!
Apparentemente bene, in quanto
Carla non vuole che Pietro resti a casa e gli chiede di trovare una
soluzione per andarsene. Pietro è in grande difficoltà; mi guarda e
incomincia a dire che la signora qui presente pensa che lui abbia
parecchi soldi. Inizia ad esporre la sua situazione finanziaria non
particolarmente prospera. Carla gli propone di andare a vivere dalla
madre e Pietro ribatte dicendo che non c’è una camera disponibile per la
bimba.
Le proposte di Carla per convincere
Pietro ad uscire di casa, vengono piano piano “smontate”. Carla, a
questo punto, dichiara che il suo avvocato le aveva detto che se lei
avesse scritto una lettera comunicandogli di andarsene lui sarebbe stato
costretto ad andarsene.
Un silenzio “rumoroso” avvolge la
stanza; la tensione di Pietro urla dentro di lui ed io la sento, credo
che anche Carla l’abbia percepita. Guardo Pietro e chiedo cosa stia
succedendo. Lui mi guarda ma non riesce a parlare, respira
profondamente, passa del tempo e poi inizia:
“Quando ho conosciuto Carla ci
siamo innamorati, aveva debiti li ho sanati, le ho dato una vita
decorosa a lei e alla bimba, non ho mai fatto mancare loro nulla. Ho
solo avuto la pretesa di invitarla a cercarsi un lavoro quando la bimba
incominciò l’asilo Ma cosa ho fatto di così terribile per essere
sbattuto fuori di casa?
Non è colpa nostra se non andiamo
d’accordo, siamo diversi e tutto ciò deve essere penalizzato in questo
modo? Carla interviene dicendo e cosa ho fatto io di male? Intervengo
riformulando a Carla quanto avesse detto Pietro e lo porto sul piano del
sentimento e del disagio nel trovarsi in quella situazione: genitori,
amici, mondo sociale e verso se stesso Chiedo a Carla cosa ne pensa.
E’ in imbarazzo e dice che non
vuole questo ma lui è insopportabile da vivere e lei non ce la fa più!
Riespongo l’iter della via legale
con tutti i pro e i contro a cui andrebbero incontro e sono più i
contro.
Rassegnata Carla accetta che lui
stia nella casa. Situazione non facile in quanto devono dormire insieme.
Hanno fatto un lavoro profondo con la bimba per farla dormire nella sua
camera e, ora. non se la sentono di proporle di andare a dormire con la
madre e il padre nella sua cameretta
Insieme decidiamo che è il momento
di iniziare a parlarne alla bimba e mi chiedono se sia possibile
portarla una volta in studio per parlare anche con me. Ci lasciamo
dicendo che avrei dato una risposta all’incontro successivo.
4° Incontro
Anche Pietro è stato dall’avvocato
perché Carla, tornata a casa dopo il nostro incontro, ritorna a dire che
lui se ne deve andare.
Dopo aver parlato con l’avvocato
Pietro dice di essere più tranquillo. La richiesta di Carla di andarsene
di casa non avrà effetto immediato. Carla dovrà trovarsi prima un lavoro
per poter mantenere le spese della casa e Pietro dovrà sostenere tutte
le spese per la figlia.
Sono più sereni e sono pronti per
parlare con la bimba. Nel frattempo si scambiano promesse da mantenere e
vengono accettate da entrambi.
Sono previsti altri incontri
inerenti alla modalità da usare per comunicare la separazione alla bimba
e a come fronteggiare le possibili reazioni della stessa nel momento in
cui ne verrà a conoscenza.
-
Counselor e mediatrice familiare
Un mediatore familiare non è detto
che sia anche un counselor ed io che lo sono devo ammettere che
inizialmente ho trovato difficoltà a scindere le due professionalità.
Faccio volontariato da sei anni
presso un consultorio familiare diocesano, ambiente protetto, e le
regole, protocolli professionali sancite dalle associazioni vengono un
po’ sorpassate e siccome il counselor non è visto bene dagli psicologi e
una sorta di guerra è in atto, voglio essere più precisa possibile, non
voglio trovarmi con una denuncia, anche perchè nel mio studio è accaduto
che uno psicologo si fosse presentato come cliente e lo capii per la
difficoltà che creava facendomi domande ben precise
Quindi inizialmente entrai così
tanto in confusione al punto di avere difficoltà nelle mediazioni di
tirocinio, mi veniva spontaneo soffermarmi sugli atteggiamenti,
espressioni del viso, approfondire stati d’animo, ecc.
Quando mi affiancavo ad una
mediatrice familiare dell’Asl, la trovavo così asettica e quando di
fronte alla cliente che parlava poco, e quindi non riusciva ad andare
avanti, rimasi sbalordita quando chiuse la mediazione e inviò la sig.ra
da uno psicologo. Quando finì la sessione, le domandai come mai non
volle incontrarla da sola per capire come mai non parlasse. Lei mi
rispose: questa è una mediazione e non una seduta dallo psicologo, oltre
tutto lei è una psicologa.
Anche durante le lezioni in aula,
la docente avvocato-counselor e mediatrice familiare ci sottolineava che
la parte esplorativa di come sta il cliente non deve troppo emergere.
Meglio soffermarsi sulle soluzioni di problemi pratici e burocratici,
divisioni dei beni, degli immobili, la gestione dei bimbi, ecc..
Pensai spesso “Difficile mettere da
parte una professione che amo tantissimo e investirmi di qualcosa che
forse non mi apparteneva e infatti ho messo in discussione la scelta di
questo corso pensando di avere sbagliato; con le mie colleghe ci
confrontammo e provavamo un po’ tutte le stesse sensazioni, ma dovevamo
andare avanti.
Più andavo avanti e più emergeva
che tra i clienti vi erano parecchi problemi non risolti di coppia e le
mediazioni erano difficili da portare avanti proprio per i loro
conflitti e rancori, e secondo me era necessario soffermarsi per
parlarne e forse portare loro degli strumenti per andare avanti. In
molte coppie separate accade che uno dei due non abbia accettato la
separazione e confligge in continuazione creando non pochi problemi.
Mi trovavo a contestare parecchie
volte con i docenti che non era possibile essere counselor e fare la
mediatrice o, quantomeno, che io non riuscivo e riconosco di essere
stata noiosa, ma dovevo uscirne in qualche modo, due anni di impegno,
denaro e investimento professionale non era accettabile.
Un giorno il direttore della scuola
fece un intervento dove dichiarò che si possono usare le competenze del
counselor nella mediazione e che sarebbe stato una risorsa per una buona
mediazione, credo davvero di essere stata salvata, mi sentii felice,
sollevata e libera .
Allentai le mie tensioni, mi
lasciai andare e incominciai a mediare e piano piano imparai a gestire
le due professioni, ad accorgermi dove usavo il counseling e dove la
mediazione. In realtà il counselor fa da mediatore, ma spazia
nell’esplorazione. Il mediatore è più mirato nel restare sulla parte
burocratica da gestire, figli. beni comuni da dividere, alcuni arrivano
con la richiesta di imparare a comunicare in quanto anche dopo la
separazione resta difficile farlo e complica tutto, in questo caso il
counselor interviene spesso.
Nella coppie separate non sempre
tutti e due sono d’accordo e quello che subisce la scelta resta
arrabbiato, complicando qualsiasi cosa e credo che fare il mediatore ed
essere un counselor sia un vantaggio, forse più per la coppia, in quanto
possono essere seguiti e non abbandonati perché la mediazione non
funziona.
Per ora ho avuto 5 esperienza di
mediazione: due con buon esito, una fallita una non conclusa e una in
essere. Con quest’ultima mi sento più sicura, ho più elementi e
strumenti da usare e, la cosa più importante, mi piace, mi appartiene e
sono contenta di provare questa sensazione.
Mi trovai a fare una riflessione
che ancora adesso non so dove collocare. Ho avuto la sensazione già con
il counseling di coppia che se alcune coppie avessero fatto un percorso
prima della separazione molte di loro non sarebbero arrivate alla
separazione. Ad esempio, nel primo caso da me citato la coppia in
questione aveva ancora molto da condividere. Credo che oggi sia
diventato molto facile separarsi, anche in presenza di figli. Forse un
nuovo elemento da inserire nel rito di matrimonio sarebbe quello di
dire: “nel bene e nel male e ti accetto con i tuoi difetti e mi impegno
sempre a ricostruire” perché si tratta proprio di questo. La convivenza
porta a vedere la persona per come è. Questo spesso ci delude, non è
quello che immaginavamo, che ci aspettavamo.
Qualsiasi cosa accada dovremmo
avere lo sguardo per poter costruire su quella delusione, sempre se non
ci siano violenze o perversioni. E’ un impegno ulteriore sull’umanità
della persona, limitata e “peccatrice”, inoltre quello che emerge forte
è la poca conoscenza, la non relazione di base con se stessi e di
conseguenza è molto difficile poter averla con altri, la mancanza di
genitorialità con se stessi non permette di avere rispetto per i figli e
quindi essi vengono coinvolti nei conflitti e vendette.
Tutto ciò non permette una buona
mediazione e io ritengo che sia un opportunità per la copia separata, in
quanto con il mediatore possono permettersi di cadere in diatribe senza
conseguenze, come invece accadrebbe davanti ad un giudice, possono cioè
rivedere e discutere assieme le rispettive posizioni.
-
CONCLUSIONE
Lo scopo della mediazione è quello
di generare buonsenso, ragionevolezza e ristabilire una comunicazione
per trovare quel che è comune tra gli opposti.
Dalle esperienze che ho fatto
nell’ambito delle mediazioni e che, se pure parzialmente, ho riportato
nelle pagine precedenti ho potuto osservare diversi aspetti.
La prima cosa che posso dire è che
negli incontri di mediazione si ha scarsa possibilità di entrare in
contatto con le enormi ricchezze interiori che ogni essere umano ha.
Durante gli incontri l’attenzione è
focalizzata principalmente sui problemi pratici, sulla gestione dei
figli, molto spesso trattati alla stregua di pacchi da collocare, sulle
cose materiali ed economiche. Alcuni sono pieni di rancori e tutto
quello che c’è stato di buono e bello nella relazione sembra non essere
mai esistito.
Le separazioni sono dei lutti da
elaborare e a volte trovo irritante vedere come le coppie banalizzino i
reciproci comportamenti, le emozioni, i sentimenti. In questo modo i
lutti non possono essere elaborati perché le dinamiche in gioco fanno
perdere di vista quello che è la persona con tutto quello che si porta
dentro. E’ altresì vero che il nostro contesto sociale e culturale porta
ad essere superficiali nella lettura dei sentimenti umani.
Vorrei potermi soffermare,
all’inizio di ogni mediazione e per almeno una sessione, a ricordare
tutto quello che sono stati insieme, quello che hanno fatto, costruito,
sofferto, gioito. In ultima analisi se le separazioni avvengono è perché
le coppie si sono perse di vista e forse perché ognuno è perso dentro a
se stesso.
Quello che voglio dire è che questa
professione deve trattare la parte più materiale delle persone ed è
chiaro che non parlo di persone che hanno subito violenze psicologiche e
fisiche, soprusi, aggressioni.
Mi hanno chiesto come possa essere
una mediatrice familiare non avendo mai avuto una mia famiglia e benché
abbia trovato sciocca una domanda del genere, mi sono soffermata a
pensare. La famiglia ritengo faccia parte di noi, abbiamo dentro la
relazione genitoriale con noi stessi e questo ci permette di sentirla,
viverla e di essere empatici in quel contesto. Per quanto mi riguarda la
famiglia può essere composta anche da due persone solamente e non è
detto che debba essere composta necessariamente da un uomo e una donna.
Un'altra considerazione vorrei
fare. Non ho ancora molta esperienza in questo campo ma, ho notato che
se anche la relazione tra mediatore e cliente funziona, i clienti hanno
bisogno di interpellare l’avvocato per sentirsi più al sicuro o per
avere potere su quello che vogliono.
Mi sembra di capire che l’obiettivo
della mediazione, non è quello di proporre nuovi valori, ma di mettere
in comunicazione quelli portati da ogni individuo. In ambito familiare,
la mediazione lavora sulla responsabilità delle persone coinvolte ad
assumere degli impegni come volontà di cambiamento; è importante
sottolineare l’aspetto progettuale della responsabilità, cioè la
proiezione verso il futuro.
La mediazione è una sfida, per le
coppie e per chi la pratica, un investimento per il futuro dei legami
familiari.
Ritengo che sia un’opportunità per
chi si separa scegliere la mediazione. Con il mediatore possono
permettersi di cadere in diatribe senza subirne le conseguenze (come
invece accadrebbe davanti ad un giudice) e possono rivedere le proprie
posizioni. Mi auguro pertanto che la legge Pillon possa infine venire
approvata.
-
RINGRAZIAMENTI
Sono grata alla vita, ho avuto
molto e molto gratuitamente ed è per questo che amo fare volontariato e
offrire gratuitamente il mio servizio!
Ringrazio la mia resilienza che in
questo master è stata messa a dura prova ma eccomi qui…ho portato a
termine tutto!
Ringrazio il mio compagno Bruno che
mi ha aiutato nella tesi e nella parte finanziaria.
Ringrazio sempre me stessa e tutti
quelli che hanno contribuito a diventare quello che sono!
GRAZIE!
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